Skip to main content

Autore: Progetto Calamaio

Ermanno Morico, detto Il Perfetto!

Ermanno Morico, storico animatore del Progetto Calamaio della Coop. Accaparlante e molto di più…Viaggiatore, inventore di fiabe e autore della raccolta di Il gErmanno reale e altre storie, edito da Coop. Accaparlante e illustrato da Stefania Baiesi, il nostro collega è da sempre amatissimo dai bambini, stregati dalla sua energia e dal suo umorismo contagioso.

Lo scorso 21 ottobre Ermanno si è cimentato nell’ambito del percorso “Un giorno al CDH” con le scuole Federzoni di Bologna, i cui giovanissimi alunni hanno trascorso una mattinata con noi, alla scoperta dei libri accessibili della Biblioteca e vivendo un momento di animazione con gli educatori e gli animatori con disabilità del Progetto Calamaio.

Ermanno è stato il protagonista della storia, tratta da I cinque malfatti di Beatrice Alemagna (Topipittori, 2014). Gli abbiamo chiesto di raccontarci come è andata:

Ermanno, raccontaci, chi è Il Perfetto? Come è stato interpretarlo?

Il Perfetto è un personaggio di fantasia della fiaba dei cinque Malfatti, è sicuro di sé, è elegante, si liscia i capelli, alto, snello, bello, insomma è un tipo Perfetto.

Io sono sempre contento di interpretare i personaggi delle storie, quando entro in scena mi immedesimo nel personaggio e coinvolgo i bambini con qualche patacca!

 Ti è piaciuta questa storia?

Sì, mi è piaciuta perché è una storia diversa e molto divertente

 E, invece, del lavoro con i bambini cosa ti piace?

Mi piace quando facciamo il trenino con i bambini e saltano in braccio a me, sulla mia carrozzina ed è come andare in giostra.

Oggi hai fatto l’attore ma noi lo sappiamo che tu sei anche uno scrittore, come va con le tue storie? Ne hai una nuova nel cassetto?

 Mi piace scrivere le storie di fantasia e prendo spunto sia da personaggi del cinema che persone che conosco e incontro. Adesso sto scrivendo “Gigi e la sua bici da corsa”, chissà quando e come finirà?

Se siete curiosi dovete attendere!

Grazie Ermanno, non vediamo l’ora di conoscere il seguito!

 

Un sabato in autonomia

Che cos’è il “tempo libero”?  Di solito definiamo così quel tempo, al di fuori delle incombenze lavorative, scolastiche e di gestione familiare, in cui rilassarci, divertici e prenderci cura di noi, dei nostri interessi, amici e relazioni. Un tempo prezioso, per tutte le età, che forse è ciò su cui oggi, per la maggior parte delle persone, si misura davvero un nuovo concetto di “lusso”. Eppure il tempo libero è un diritto essenziale per il benessere di ciascuno e va difeso indipendentemente dai contesti e dalle condizioni di partenza.

Come sappiamo tuttavia quando c’è di mezzo una disabilità sono ancora molti i giovani adulti costretti a negarsi esperienze di socialità per mancanza di trasporti, budget, informazioni accessibili o perché ancora strettamente dipendenti dai proprio nuclei familiari, a loro volta frustrati, tra comprensibili ansie e le più che legittime richieste dei figli.

“Weekend di sollievo” è in alcuni casi il termine con cui si è ancora abituati a identificare i fine settimana in cui le persone con disabilità dormono fuori casa in compagnia di altre persone con simili bisogni, educatori e operatori. Al Progetto Calamaio questo termine però non piace proprio perché attribuisce alla persona con disabilità un peso (e un senso di colpa) che non gli compete.  Meglio parlare di “weekend di autonomia”, così da restituire al momento il suo vero carattere, con l’idea di offrire non solo un’occasione di svago fuori casa ma anche di crescita, fornendo alla persona con disabilità strumenti concreti per misurarsi con i propri limiti e risorse in nuovi contesti abitativi e di condivisione.

Si tratta di un percorso complesso, di cui torneremo sicuramente a parlare, anche in relazione al cosiddetto “Dopo di Noi”, un’altra dicitura che nelle nostre discussioni abbiamo scelto di personalizzare, sostituendola con “Vita indipendente”: un termine meno angosciante ma anche più preciso, che sottolinea l’importanza di cominciare a intraprendere un sano distacco in direzione dell’adultità della persona prima di ogni eventuale separazione dai propri genitori o caregiver.

La strada verso l’autonomia non è facile per nessuno ma se affrontata con il giusto spirito può trasformarsi in una vera avventura.  Lo sanno bene gli educatori e gli animatori con disabilità del Calamaio, che a giugno e a luglio si sono sperimentati in alcuni weekend in gestione autonoma, al Villaggio del Fanciullo e alla scoperta della città.

C’è chi come Marco, Emanuele, Ermanno e Giovanni è andato a brindare da Vito e chi come Tatiana ci racconta quello che le è passato per la testa, prima e dopo l’esperienza:

IL PRIMA…

Il 16 e 17 luglio andrò a fare il weekend di autonomia con i colleghi del CDH. Non vedo l’ora di farlo perché credo che sia un modo diverso di divertirmi e di avere i miei spazi di libertà, anche se mi dicono che fare il weekend sia stato un po’ faticoso. I miei genitori mi fanno già le raccomandazioni del tipo: “Se non ti vuoi sporcare, allora devi mettere il tovagliolo per il lungo”. Loro forse non si rendono conto che sono adulta e a volte le raccomandazioni di questo tipo sono un po’ inutili. Una delle cose di cui sono più orgogliosa è che sono capace di chiedere per i miei bisogni e anche per le mie medicine, così sono autonoma. Una delle cose che mi piacerebbe fare è fare dei giochi di società in gruppo. Sarà un mio momento d’aria, non vedo l’ora. Ai miei voglio bene però alle volte sono un po’ appiccicosi.

Mi piacerebbe vedere un film di sera magari in un posto all’aperto tipo in Piazza Maggiore, un film però leggero e senza fare il cineforum dopo, perché non siamo a lavoro. Fare un’esperienza con il gruppo del CDH vuol dire finire in modo positivo e divertente il percorso durato un anno sul laboratorio di autonomia. Non so se portare con me anche il mio MP3, ci penserò. A me piace molto la musica e spero di andar fuori a mangiare, non so dove perché non ho molta esperienza vicino al Villaggio del Fanciullo. Mi fido degli altri. Io ho voglia di uscire di sera e sono pronta a fare questa esperienza. Sarà un’esperienza indimenticabile anche se i miei colleghi mi dicono che sia stato molto bello sì, ma faticoso. Non vedo l’ora di provarlo. Una cosa che non so fare è giocare a carte e mi piacerebbe imparare. Io chiederò ai miei di non chiamarmi perché è giusto così, perché è libertà.

IL DOPO…

È stato veramente molto molto molto molto bello al 100% e il prossimo anno io ci sono per rifarlo. Lo vorrei fare di più giorni con i miei colleghi del CDH, magari in un posto nuovo e meno caldo e in un altro periodo. Non ho preferenze su un posto preciso, basta che sia meno caldo e che si stia con i colleghi del CDH. È stato molto bello e liberatorio sia per me che per i miei genitori. È stato fantastico non sentirli per due giorni. Viva l’autonomia!!! Io non so che cosa avevano detto i miei all’inizio al CDH ma per la notte non ho avuto problemi e non ho avuto bisogno di chiamare per essere aiutata. Ho dormito molto bene e sono felice anche perché, dopo questa esperienza, a lavoro mi hanno proposto di fare le trasferte lunghe. . Io sinceramente era da un po’ che ci pensavo e sono molto felice di esserci arrivata.

Che dire, l’avventura è appena cominciata, stay tuned!

 

Parlando di “Amuri”

Andrea Mezzetti, Tatiana Vitali, Camilo De La Cruz e Diego Centinaro, animatori con disabilità del Progetto Calamaio raccontano, insieme ad Alvise De Fraja, volontario del Servizio Civile Universale, la loro prima esperienza d’attori durante lo spettacolo “Amuri” di Gruppo Elettrogeno Teatro, in scena lo scorso 13 e 14 giugno all’Arena Orfeonica di Bologna.

Che quartetto esplosivo che abbiamo visto in scena all’Arena Orfeonica! Come è stato lasciare i panni dell’animatore per entrare in quelli dell’attore, nel caso di Andrea, Tatiana e Diego, e del cantante e musicista, nel caso di Camilo?

Diego: Io bene, mi sono trovato bene. Perché ero quello che facevo le cose, ero più al centro dell’azione. E poi mi è piaciuto molto quello che ho fatto perché ero in piedi.

Andrea: È stato bello e affascinante e si spera con buoni risultati. La differenza principale è che in questa occasione del teatro eravamo al centro dell’attenzione, mentre a lavoro la figura dell’educatore, anche nelle animazioni, è molto presente.

Tatiana: Il mio lavoro mi vede nei panni di un’animatrice, in cui generalmente si opera con i bambini  nelle scuole avendo già una traccia prestabilita e seguita da diverse attività di gioco o di dialogo. L’ attore invece nello spettacolo deve entrare nel personaggio che rappresenta anche attraverso le emozioni e io ho potuto scegliere cosa e come poter far trasparire una parte di me stessa recitando la parte assegnatami. Io ho conosciuto Gruppo Elettrogeno Teatro nel 2019. Fin dall’inizio, frequentando e facendo laboratori, negli anni ho capito che quel contesto era il mio spazio di libertà e quest’anno abbiamo potuto fare lo spettacolo “Amuri” in presenza, ed è stato molto bello, sia fare il laboratorio sia la preparazione dello spettacolo stesso. Noi come attori lavorando insieme ci siamo molto aperti e ci siamo conosciuti a livello profondo, ci siamo sentiti liberi di esprimere i nostri pensieri e non giudicati, potevamo dire tutto quello che volevamo e la regista Martina Palmieri è molto brava e sensibile. Io mi sento un’attrice, è stato molto bello preparare lo spettacolo e il risultato finale ha avuto un grande successo. Per la mia partecipazione ho avuto un ottimo feedback dalla regista e dal gruppo stesso e anche da parte del pubblico. Il gruppo Elettrogeno insieme alla regista mi vogliono come io voglio loro perché stiamo molto bene insieme. Io da loro non sono considerata una persona con disabilità, ma infatti all’interno del gruppo non si parla mai di disabilità, sono una persona e considerata un’attrice. Questo mi fa stare bene.

“Amuri” è il titolo dello spettacolo che vi ha visti protagonisti, è una parola presa a prestito dal dialetto siciliano e indica la pluralità, le tante sfumature dell’amore. Ma che cos’è per voi l’Amore?

Andrea: per me è semplicemente una cazzata che non esiste…. No, diciamo che è un argomento molto lungo per trattarlo in un solo articolo.

Camilo: L’amore però esiste anche per l’amicizia, l’amore per me è il rispetto. Nel nostro spettacolo l’amore è proprio l’amore che c’è sempre, ovunque in qualsiasi momento. Però secondo me l’amore è rispetto, soprattutto rispetto per sé stessi, se non ce l’hai non puoi esprimerlo per gli altri. Poi ovviamente ognuno interpreta a modo suo la parola amore.

Andrea: Effettivamente Cami ha ragione, perché è vero che dipende dal punto di vista di una persona, di come lo interpreta.

Diego: Per me l’amore è difficile.

Andrea: Ma difficile da comprendere?

Diego: È difficile perché ci vuole molto impegno da parte delle persone che sono innamorate. È anche avere la voglia di stare insieme.

Camilo: È impegno soprattutto da parte tua perché parte da te, prima è un impegno nei propri confronti nel rispettare prima se stessi. Come nella vita non siamo sempre tutti d’accordo, nel senso che non possiamo essere d’accordo con tutti: il punto allora è come dobbiamo sempre cercare di adeguarci alle situazioni e allora entra in gioco il rispetto per sé stessi e per gli altri.

Diego: Io comunque ho bisogno di qualcuno che mi segua.

Camilo: Io non so se c’è bisogno di qualcuno che ti segua, perché di amare siamo capaci tutti. A livello di affettività credo che tu sia in grado di farlo capire all’altra persona. Su questo siamo abbastanza autonomi. Non parlo tanto del “fare l’amore”, anche semplicemente dell’affetto, dell’amicizia. Ognuno di noi ha il proprio modo.

Alvise: Si potrebbe dire che siamo uguali perché tutti sono capaci di amare, ma siamo diversi perché ognuno lo fa a modo suo.

Diego: L’amore secondo me sono due cose: l’amore fra due persone e l’amore verso sé stessi, prendersi cura di sé e poi c’è anche la cura degli altri per me.

Tatiana: L’amore per me ha tante sfaccettature, infatti come si è visto nello spettacolo non esiste un solo tipo di amore e secondo noi come persone e poi attori bisognerebbe essere aperti a ogni tipo di amore, perché nel mondo ci sono molti tipi di amore.

Lo spettacolo è il risultato di un lungo percorso laboratoriale di musica e teatro in cui vi siete confrontati con voi stessi e con altre persone, non necessariamente educatori, e con dei professionisti del settore. È stato difficile affrontare certi nodi personali? In questo senso che cosa ha rappresentato l’incontro con il resto del gruppo?

Andrea: per me non è stato difficile per niente, anzi è stato molto bello, ecco. Perché le persone del GET mi sono sembrate abbastanza, diciamo, cordiali, abbastanza gentili, sono state in grado di metterci a nostro agio e anche se ho dovuto affrontare nodi personali non ci ho fatto troppo caso perché non mi è sembrata l’occasione.

Diego: A me è piaciuto molto perché loro avevano molta competenza nel trattare con persone con disabilità e questa cosa qui a me piace molto. 

Camilo: La difficoltà c’è stata sempre, ovviamente sono dovuto andare avanti e adeguarmi alle situazioni; quindi, mi sentivo dover reagire al lato positivo, diciamo che all’interno del gruppo mi è piaciuto perché ho imparato delle cose nuove.

Tatiana: Per me non è stato difficile, è stato un modo di mettermi in gioco ed entrare in contatto con il mio personaggio. Il percorso laboratoriale è stato molto divertente e liberatorio dai vincoli familiari perché mi sono sentita completamente autonoma. Avendo io difficoltà di linguaggio, tutti gli attori e la regista mi hanno dimostrato che mettendosi in ascolto e rispettando i miei tempi mi capiscono senza nessun problema, questo per me è stato un ostacolo superato con mia soddisfazione.

Qual è il vostro momento preferito dello spettacolo?

Andrea: Direi la fine, perché vuol dire che me la son cavata e che non ho fatto danni. Mi è piaciuta molto la scena con me e Mariolina perché in scena siamo solo io e lei e diciamo che c’è abbastanza attaccamento dal punto di vista fisico, siamo molto vicini e questo mi ha suscitato, diciamo, “benessere”.

Diego: Quello che ho fatto io, perché ero il protagonista. Mi è piaciuto molto quando mi hanno alzato su e poi anche la musica che cantava Camilo perché lui è molto bravo. E mi è piaciuto molto anche quando ho allungato il braccio e ho preso per mano un’altra attrice e l’ho portata vicino a me e poi l’ho accarezzata. Questo momento mi è piaciuto perché è stato molto forte per il pubblico.

Camilo: Io personalmente volevo far arrivare a loro le mie emozioni, non abbiamo fatto uno spettacolo solo per farlo ma invece l’abbiamo fatto per mandare un messaggio significativo e anche l’abbiamo fatto per far divertire il pubblico e per fargli capire che nonostante la nostra disabilità nessuno può impedire di fare o inventare ciò che vogliamo e che anche noi abbiamo dei talenti.

Tatiana: È stato tutto molto bello, io ho due momenti preferiti dello spettacolo: il primo è stato quello della mia prima scena in cui io volevo entrare all’interno del Simposio ma essendo donna e disabile secondo le regole di quel periodo non ero degna di far parte del simposio stesso e il mio partner mi voleva mettere fuori, io non ho rinunciato e ho spinto a terra tutti i partecipanti a quella scena.  Il secondo momento preferito è stato quello dell’atto finale, dove tutti abbiamo ballato davanti al pubblico, lo stesso pubblico alla fine è entrato nello spettacolo ballando con noi, è  stata un’esperienza che mi rimarrà dentro per sempre nel cuore.

Che cosa volevate suscitare nel pubblico presente?

Andrea: Posso fare una battuta? Vomito, tanto vomito! ma parlando sul serio, che tutto questo vale per ogni persona.

Diego: Che anche le persone con disabilità possono amare.

Camilo: Io personalmente volevo far arrivare a loro le mie emozioni, non abbiamo fatto uno spettacolo solo per farlo ma invece l’abbiamo fatto per mandare un messaggio significativo e anche l’abbiamo fatto per far divertire il pubblico e per farlo capire che nonostante la nostra disabilità nessuno può impedire di fare o inventare ciò che vogliamo, e per farlo anche capire che anche noi abbiamo dei talenti.

Tatiana: Il gruppo è formato da tante di persone ognuno con la propria peculiarità e caratteristica e attraverso lo spettacolo volevamo far riflettere e far comprendere alle persone che l’amore non è mai unico ma esistono una pluralità di amori che vanno accolti e rispettati, allo stesso tempo fare divertire il pubblico.

Lo rifareste?

Andrea: probabile!

Diego: Sì!

Camilo: Sì lo rifarei molto volentieri perché mi sono divertito e mi sono sentito libero e soprattutto era una bellissima esperienza.

Tatiana: Sì, lo rifarei molto volentieri, e penso sia stato per me l’inizio di una lunga serie.

Grazie alla regista Martina Palmieri, all’educatrice del Progetto Calamaio Barbara Rodi, che ha seguito e partecipato all’intero percorso, e a tutto Gruppo Elettrogeno Teatro per la bellissima esperienza!

Omaggio ad Andrea Canevaro

Claudio Imprudente, giornalista, scrittore ed educatore, Presidente Onorario del Centro Documentazione Handicap di Bologna, ricorda qui l’amico Andrea Canevaro, Professore Emerito in Pedagogia Speciale, scomparso a Ravenna lo scorso 26 maggio. Insieme ad Andrea, Claudio ha contribuito a fondare il CDH e ha combattuto molte battaglie a favore dell’inclusione, dentro e furori dalla scuola, e da lui ha ricevuto, nel 2011, a Rimini, la Laurea Honoris Causa in Scienze della Formazione e della Cooperazione.

“Andrea […] occhi di bosco, contadino del regno” è un motivetto che mi viene da cantare in questi giorni per ricordare con le parole di Fabrizio De Andrè il mio amico Andrea Canevaro che ci ha lasciato questo 26 maggio.

“Occhi di bosco” mi riporta alla memoria una delle sue pubblicazioni: I bambini che si perdono nel bosco – identità e linguaggi nell’infanzia (La nuova Italia, 1999). Questo libro, insieme a molti altri, testimoniano l’impegno di Andrea nei confronti dei temi della pedagogia e dell’inclusione. Come ho avuto modo di ricordare il giorno 8 giugno 2022 in un memoriale a lui dedicato presso l’università di Bologna, la sua impronta nel mondo dell’educazione è stata essenziale e ci ha lasciato molto ancora su cui riflettere. In quell’occasione ho messo in luce anche lo speciale rapporto che condividevamo nel nome di un’educazione libera da pietismo e colma di inclusione; tutti e due, infatti, abbiamo basato la nostra collaborazione su questo tipo di approccio, tramutatosi poi in una vera e propria “cultura”.

La stessa parola “cultura” deriva dal verbo latino còlere e rimanda al mondo dei campi, come viene spiegato dalla versione online dell’Enciclopedia Treccani, nella quale troviamo anche un parallelismo fra la costanza richiesta dall’agricoltura e quella dell’istruzione attraverso le varie discipline del sapere. Da qui anche l’espressione “contadino del regno” mi fa pensare a chi, come Andrea, coltiva con pazienza il sapere umano, in modo che sia a disposizione di più persone possibili. L’idea di un’educazione a misura di ciascuno è sempre stata cruciale per la sua carriera, ribadendo sempre la forza che essa può avere nelle mani di ciascuno.

L’ambito dei contadini, inoltre, mi riporta anche ad un universo umile e concreto, del quale lo stesso Andrea Canevaro faceva parte. Durante il suo ricordo nelle sale dell’Alma Mater Studiorum è stato detto più volte come non si identificasse con il nome di “professore”, ma rimanesse fedele a sé stesso.

In ultimo, mi preme ricordare l’atto rivoluzionario che più di ogni cosa sancì il nostro impegno reciproco nel mondo dell’educazione, ovvero il conferimento della mia laurea honoris causa in Scienze della Formazione e della Cooperazione a Rimini nel 2011. In questo gesto si espresse con forza la volontà di non vedere mai più la disabilità con compassione, ma come una caratteristica personale che in alcun modo deve pregiudicare il singolo all’accesso alla cultura. Questo titolo accademico non doveva dunque essere considerato “un’opera buona”, ma un invito al mondo universitario a guardare oltre le apparenze.

La sua passione ha contribuito a creare il Centro Documentazione Handicap, attorno al quale ruotano ogni anno moltissime persone che si occupano dei temi dell’inclusione e della Pedagogia Speciale.

Sarebbe irrispettoso nei confronti di Andrea dedicargli un pensiero retorico e rifarsi a tradizionali formule di commiato: in lui c’era una volontà di cambiamento del suo ambito così forte che qualsiasi frase fatta non gli renderebbe giustizia. È bello per questo sapere che con la memoria dei suoi gesti e dei suoi studi, continuerà a rivoluzionare altre menti che vorranno condividere il suo approccio.

Che dire…grazie Andrea di tutto e buon volo!

Il mio primo libro

Ecco che cosa si nasconde dietro alle bellissime illustrazioni del libro Il mio Afghanistan di Gholam Najafi, la nostra ultima pubblicazione per la collana in CAA Parimenti di Edizioni la meridiana, presentata lo scorso 30 aprile alla Fiera “Fa’ la cosa giusta” di Milano. Ce ne parla l’autore, Camilo De la Cruz!

Caro Camilo, la tua passione per il disegno non è certo una novità, ma è la prima volta che le tue
illustrazioni vengono pubblicate su un libro. Come ci si sente? Cosa hai pensato quando lo hai ricevuto?

Ammetto che inizialmente ero preoccupato, perché era la prima volta che ricevevo un incarico del genere.
Alla fine, però, mi sono ritenuto soddisfatto del lavoro che ho fatto, ho molto apprezzato il mio risultato
finale.

Nonostante tu abbia una disabilità motoria e sia fortemente condizionato nell’uso delle mani riesci
comunque a realizzare disegni complessi e ricchi di particolari. Come fai?

Ho studiato al Liceo Artistico e successivamente per un breve periodo all’Accademia delle Belle Arti, quindi
ho sempre avuto interesse ad approfondire il disegno. Ho avuto anche tanta passione per l’arte fin da
quando sono piccolo, assieme a tanto esercizio. Inizialmente disegnavo e scrivevo con i piedi, l’unica parte del mio corpo che riuscivo a muovere in modo completo. A seguito di due interventi che ho subìto, ho dovuto smettere di usare i piedi e ho iniziato ad usare le mani. Molti anni dopo l’intervento ai piedi ho iniziato anche a disegnare con la bocca.

In che modo le parole di Gholam Najafi ti sono state di ispirazione, viceversa, come hai adattato il tuo
stile e le tue immagini al suo racconto?

Ho provato molta empatia con la storia di Gholam Najafi: condividiamo una forte determinazione a
cambiare la nostra vita. Intendo dire che entrambi abbiamo adeguato le nostre capacità ai nostri bisogni,
usando tutta la nostra volontà.
Si capiscono le caratteristiche di Najafi dalla sua scrittura, mentre penso che si capisca molto di me dal mio
modo di disegnare.


Oltre che un appassionato di arte e canto, Camilo è anche un educatore. Come reagiscono le bambine e i
bambini che incontri a scuola quando ti vedono disegnare? Che cosa cerchi di restituire e trasmettere
loro?

Il disegno e l’arte sono universali: sono un metodo comunicativo per bambini e adulti. Io per avvicinarmi ai
bimbi uso il disegno, infatti ci scambiamo dei punti di vista su quello che rappresentiamo durante gli
incontri. Mi dà tanta soddisfazione vedere la loro meraviglia quando disegno: spesso infatti pensano che io
non sappia disegnare, ma poi si ricredono. Mi preme molto mostrare loro come il disegno sia per me uno
sfogo creativo.

I libri di Parimenti sono frutto del lavoro congiunto tra Edizioni la meridiana e un gruppo integrato di educatori e animatori con disabilità che partecipa al laboratorio permanente di traduzione in simboli “Librarsi” a cura del Progetto Calamaio.

Prove di scherma a Exposanità

Lo scorso venerdì 13 maggio il Calamaio, con una bella delegazione formata da Gloria, Tristano, Tiziana, Marika, Emanuela e Camilo, si è lanciato nell’esplorazione della ventiduesima edizione di Exposanità, la mostra internazionale al servizio della sanità e dell’assistenza.

Qui la nostra Rossella Placuzzi, animatrice con disabilità e spadaccina provetta, si è cimentata come di consueto nel suo sport preferito, la scherma in carrozzina, passione che ha voluto condividere con i colleghi, invitandoli a provare tutta l’attrezzatura e a mettersi in gioco insieme a lei e all’Associazione Zinella Scherma di San Lazzaro di Savena (BO)

Ecco qui qualche scatto della giornata e gli sguardi di Rossella e Camilo.

“Sono andata in fiera con mio papà, ero contenta perché sapevo che sarebbero venuti a vedermi i miei colleghi- racconta Rossella -mi sono divertita tantissimo perché ho fatto provare loro la scherma. Gloria non l’aveva mai provata, Camilo è venuto a vedermi ed ero molto felice, mi sono anche emozionata.

A mia volta ho provato il ping-pong, è stato bello perché dovevo colpire la pallina con una racchetta, poi ho visto altri sport come l’arrampicata le bocce, le carabine la pesca, il ballo in carrozzina e una ragazza con un esoscheletro necessario per deambulare. Inoltre, ho visto un bambino che faceva handbike che è una bicicletta che si usa da sdraiati, solamente con le braccia.

Piu tardi ho fatto una garetta di pesca e ho vinto una medaglia per la partecipazione poi successivamente ho fatto provare anche persone senza gli arti la scherma e loro mi hanno risposto che il mondo sportivo è un mondo bellissimo e che non ne avevano mai sentito parlare e quindi sono rimasta molto contenta e orgogliosa di me.

Sono orgogliosa anche di tutti i miei colleghi e secondo me ho fatto passare a tutti una bella giornata”.

È stato interessante – continua Camilo- vedere diversi ausili e strumenti che non avevo mai visto prima, per me è stata una bella scoperta perché non pensavo che esistessero delle tecnologie così avanzate. Mi hanno colpito in particolare gli strumenti utili per la riabilitazione come, ad esempio, una macchina dotata di gambe robotiche con le quali era possibile esercitarsi nei diversi movimenti. Ero anche molto interessato all’area sport dove si potevano praticare diverse attività. Molto bella è stata la scherma in carrozzina per come posizionano le carrozzine e per come le legano per evitare che si sbilancino troppo. Io ho provato anche il gioco delle bocce che è abbastanza accessibile. Ho fatto un primo tentativo libero in cui ho provato a lanciare la pallina senza ausilio ma non è andato molto bene, la pallina era troppo grande e non riuscivo a tenerla in mano. Dopo ho usato uno scivolo fatto di legno dove potevo posizionare la bocca, Marika mi ha aiutato a posizionarlo ma solo seguendo le mie indicazioni. Ho provato anche a fare il tiro a segno e ho quasi preso il centro! Mi hanno detto che sono stato molto bravo e che in futuro potrei dedicarmi a quello sport. Infine, ci siamo sfidati con il biliardino, io ero il portiere e alla fine ha vinto la mia squadra.

Usciti dall’area dedicata agli sport, ho visto diverse carrozzine e ne ho anche provata una, che è possibile usare fissandola ad una carrozzina manuale. Mi è piaciuto aver avuto la possibilità di provare una carrozzina del genere perché prima non avrei mai pensato di poter guidare con un manubrio e invece, sì, potevo farlo e chissà magari un giorno potrei usarlo per avere più autonomia.

La fiera è in generale molto interessante perché hai la possibilità di vedere cose nuove ma soprattutto puoi provarle. Il mio consiglio spassionato però, per le prossime edizioni, è quello di dare più alternative e ausili sulla base delle caratteristiche di ognuno”.

Che dire, uno per tutti e tutti per uno! Alla prossima edizione!

A scuola, 30 anni dopo…

Il 4 aprile 2022 è iniziato un percorso Calamaio con l’Istituto Padre Marella di Bologna, scuola frequentata da una delle storiche animatrici del Gruppo Calamaio, Stefania Mimmi, che è ovviamente venuta con noi. Prima di andare a incontrare le bambine e i bambini di oggi Stefania ci ha raccontato della sua esperienza passata nella scuola e in particolare della sua bellissima relazione con una maestra , Maria Michelato, la quale fu la sua insegnante di sostegno.

Maria fu per Stefania molto importante, un prezioso supporto nell’intraprendere un percorso di autonomia e di consapevolezza delle proprie abilità, il tutto anche grazie all’aiuto del maestro Bruno Naldi, il quale si spese fin da subito per integrarla nelle attività della classe (nella foto qui sotto, lo vedete a destra con in braccio Stefania).

Ma la storia non finisce qui! La collaborazione tra Maria e Bruno non si fermò solo a livello lavorativo, sbocciò in una vera e propria storia d’amore, tutt’ora in atto! Stefania, che partecipò alle loro nozze, divenne così ancora più importante per i due, i quali, ancora oggi, non riescono a non commuoversi guardandola.

Rivedere ora la mia scuola- racconta Stefania– mi ha commosso e mi è piaciuto ritornare in veste di formatrice e dimostrare così alla Maria che ero cresciuta e che tutto il suo lavoro non era stato inutile, dell’importanza di tutto il percorso che abbiamo fatto insieme a lei e a suo marito, Bruno Naldi. Loro si sono conosciuto grazie a me, Bruno era il maestro di tutta la classe e Maria invece era insegnante di sostegno.”

Che dire, galeotta fu la Mimmi che ora è passata dall’altro lato della cattedra! Brava!

                         

Scelgo, dunque sono

Lo scorso 14 febbraio 2022 (sì, proprio il giorno di San Valentino!), gli educatori e gli animatori con disabilità del Progetto Calamaio sono stati coinvolti in un percorso di formazione interna molto atteso…

Ancora una volta ci siamo ritrovati in cerchio, in un piccolo gruppo, a parlare di affettività e sessualità, un aspetto della vita e un nodo, si sa, spesso cruciale per tutti, troppe volte taciuto, rimosso o edulcorato, soprattutto nella relazione con la disabilità.

Sentirsi liberi di parlare di piacere e desiderio schiettamente d’altronde non è facile per nessuno, ognuno di noi ha il proprio, personalissimo, modo di guardare al tema ed è condizionato dal vissuto, da limiti esterni, culturali, familiari, fisici e interni.

Eppure, ogni tanto, osare si può e lasciarsi andare è possibile, come ci ha dimostrato la consulente sessuologa ed educatrice sessuale Valeria Fischetti, quando il contesto è quello giusto: sereno, ironico, protetto e rispettoso delle esigenze e dell’identità di ciascuno.

Così il gruppo, ormai giunto al quarto incontro, ha iniziato lentamente a interrogarsi su di sé, le parole, il proprio corpo, tutto ciò che ruota attorno alla sfera della sessualità e dell’affettività e soprattutto su come affrontare le cose in ambito relazionale, come esplicitare la propria volontà e i propri bisogni a chi ci circonda.

“Come faccio a dire che non voglio fare qualcosa con una persona?”, “Cosa faccio se l’altra persona non mi ama?”, “Come faccio a chiedere di stare un po’ da sola a mia madre?”, queste alcune delle domande che hanno intavolato la discussione.

A quest’ultima domanda Francesca Aggio, animatrice con disabilità, risponde: “secondo me si potrebbe chiedere di essere lasciata sola per poco tempo, per poi chiederne sempre di più, così da abituare sia i genitori che se stessi”.

Dopo aver riflettuto sul concetto di “piacere”, per molti legato al benessere corporeo nella quotidianità o alla relazione con l’altro (un massaggio, essere accarezzati sui capelli, cucinare, degustare, toccarsi, percepire, abbracciare, guardare delle foto, aver cura di qualcuno), il gruppo ha sperimentato un momento di rilassamento e di ascolto, a partire da un’attività corporea, diretta da Valeria.

Bendati, tutti i partecipanti sono stati massaggiati attraverso degli oggetti apparentemente semplici e ordinari come un grattino di legno, una piuma, degli spazzolini, un massaggiatore professionale, un pennello da barba e delle arance.

La musica ha accompagnato il contatto con gli oggetti indirizzati delicatamente verso zone sensibili, come l’inizio del senso, del fondo schiena, il collo e le mani, per accendere l’attenzione verso qualcosa di mai veramente preso in considerazione.

Molte persone, all’interno del gruppo, hanno ammesso di non sapere che cosa sia esattamente il piacere fisico, non avendolo mai sperimentato, o, ancora prima, a non sapere che cosa piace o che cosa no.

La consapevolezza è estremamente importante, perché è ciò che ci fa crescere, e, nella sfera sessuale, è ciò che precede scelta e consenso.

Essere dipendenti dalle scelte che i genitori fanno a nome del loro bene è ancora una delle costrizioni più sentite dalle persone con disabilità, perché limita il loro diritto di scegliere e di conoscere.

Altre volte, però, questi limiti diventano nostro malgrado comodi cuscini su cui adagiarsi, dimenticandosi di ascoltare ciò che si vuole veramente per la paura di soffrire e di non riuscire ad affrontare le nostre difficoltà.

Iniziamo così un viaggio alla scoperta di noi stessi e sappiamo che non sarà un cammino facile ma insieme e grazie all’aiuto di Valeria, siamo certi che da qualche parte approderemo, liberi di essere, liberi di scegliere, anche a poco a poco.

Nella scuola di Vsesvit

Ucraina e CDH. “La Luna di Kiev”, la poesia di Rodari tradotta in simboli che abbiamo condiviso con voi la scorsa settimana su Fb, è solo la punta di un iceberg dello stretto rapporto che in questi anni ci ha legato al paese al centro di uno dei conflitti più dolorosi della storia recente.

Grazie al lavoro del Professor Dimitris Argiropoulos dell’Università di Parma, tante infatti sono state le occasioni di scambio di buone pratiche che ci hanno messo a confronto con docenti universitari, educatori e operatori da lì giunti in Italia per acquisire nuove competenze sul lavoro con le persone con disabilità e la didattica inclusiva.

Ma c’è di più, in Ucraina, nel 2017, ci siamo anche andati.

Sandra Negri, coordinatrice del Progetto Calamaio, ricorda con grandissimo affetto l’accoglienza ricevuta presso la Scuola Vsesvit e l’Università Ivan Franko di Zhytomir.

Allora il paese era alle prese con una nuova legge sull’inclusione scolastica, una legge voluta e attesa che stava finalmente permettendo ai bambini con disabilità di accedere alla scuola pubblica.

Il Professor Dimitris e l’Associazione Iscos Emilia- Romagna Onlus ci hanno dato la possibilità di dedicare agli insegnanti presenti un ciclo seminariale sul tema, nell’ambito del progetto “Strutturare l’inclusione scolastica e socio-sanitaria della disabilità nella Regione di Zhytomir”.

Insieme a noi c’era anche Mario Paolini

Parlare di avanguardie educative sembra ora un’utopia un po’ naif eppure era l’altro ieri.

In questo conflitto così duro e per tutti destabilizzante ci chiediamo se è davvero possibile arrestare con la forza una crescita in atto, un’evoluzione, un cambiamento culturale che ha già attecchito.

Crediamo di no. La violenza può congelare, può rallentare, piegare emotivamente e moralmente ma non potrà mai uccidere il desiderio di un’alternativa di libertà che è già reale, perché questa sarà difesa, urlata e tramandata, nonostante le macerie e gli atti di distruzione a cui stiamo assistendo.

Amiche e amici, insegnanti, bambine e bambini, educatori, persone con disabilità, cittadini ucraini, siamo con voi.

Associazione Centro Documentazione Handicap e Coop. Accaparlante

L’arte è in tavola!

Che cosa unisce arte e cibo? A rispondere ci hanno pensato Rossella, Elie e Manu, animatori ed educatori del Progetto Calamaio, che da bravi appassionati di entrambi gli ambiti si sono trasformati in veri Arcimboldi, dedicando ai colleghi un laboratorio sul tema. Qui Rossella ci racconta per filo e per segno come è andata, dando così il via a una rubrica tutta sua!

La mia passione e il desiderio di fare conoscere l’arte ai miei colleghi mi hanno spinto l’anno scorso a ideare una mia “rubrica d’arte”, che di tanto in tanto presento all’interno del gruppo Calamaio. Lo scorso anno era basata sulla vita di alcuni artisti, quest’anno ho avuto la brillante idea di unire l’arte a un “qualcosa”. Pensando a quel “qualcosa” insieme a Manu, ci è venuto in mente di unire l’arte al cibo. Prima di tutto perché all’interno del nostro gruppo ci sono molti appassionati di cucina a cui piace molto mangiare, in secondo luogo perché l’arte e il cibo sono legati da tempo immemore. Da quando l’uomo ha cominciato a sentire il bisogno di rappresentare la propria vita, inevitabilmente il cibo ne ha fatto parte. Dalle scene di caccia dei graffiti preistorici e dei geroglifici egizi, alle opere più venerate del Rinascimento, fino a quelle più moderne della pop e della eat art.

Ho iniziato a fare delle ricerche approfondite e ho scelto degli artisti partendo dal 1500 ad oggi che hanno rappresentato il cibo nella propria arte. Insieme a Elie, un tirocinante, abbiamo creato un powerpoint con artisti e opere del calibro di Arcimboldo, Van Gogh, Paul Gaugin, Pablo Picasso, Matisse, Frida Kahlo, Andy Wharol, Vanessa Beecrooft e Will Cotton.

È stato interessante scoprire come nel corso degli anni il modo di rappresentare l’arte è cambiato, dalle nature morte di Van Gogh, Gaugin, Matisse, passando per L’ultima cena di Frida Kahlo, una rivisitazione particolare e inusuale della rappresentatissima Ultima Cena, capolavoro di Leonardo, fino ad arrivare ai nostri giorni, dove gli artisti rappresentano nelle loro opere, delle vere e proprie performances, come ad esempio le opere di Will Cotton che presentano scenari costituiti interamente da pasticcini, caramelle, zucchero filato e gelati.

(cit.)“Questi dipinti riguardano un luogo molto specifico”, dice Cotton, “È un’utopia in cui ogni desiderio è soddisfatto tutto il tempo, il che significa in definitiva che non ci può essere desiderio, come non c’è desiderio senza mancanza”.

Abbiamo scoperto anche delle interessanti curiosità, come ad esempio sotto l’opera di Van Gogh Natura morta con frutta e castagne 1886,è nascosta un’altra opera La donna con sciarpa, perché Van Gogh spesso riutilizzava delle tele già dipinte. Oppure, avreste mai pensato che un’opera di Picasso è stata venduta a New York alla modica somma di 4.226.500 dollari? Ebbene sì è l’opera  Corbeille de fruits et bouteille, un’opera datata 29 dicembre 1937 realizzata a Parigi.

Dopo la presentazione abbiamo pensato a un laboratorio sull’arte e il cibo molto singolare, ogni partecipante aveva la possibilità di creare la sua opera d’arte, avendo come tavolozza di colori, i colori di frutta e verdura: banane, kiwi, mandarini, pomodori, carote, insalata, olive… Abbiamo dato ampio spazio alla nostra fantasia e sono venuti fuori dei veri capolavori. Ognuno poi ha dato un nome alla sua opera.

Il cibo crea aggregazione e unisce la gente in un modo piacevole e ha la capacità di evocare qualcosa negli occhi dell’osservatore.

E ora se avete voglia create anche voi la vostra opera d’arte e dategli un nome…Poi inviateci le foto a calamaio@accaparlante.it , potremmo così organizzare una vera e propria mostra con i vostri capolavori!

Grazie a tutti e alla prossima rubrica!

Rossella Placuzzi

Emanuela Marasca

Elie Smaily