Siamo partiti dalle splendide parole e immagini suggerite dall’albo “Labirinto dell’anima” di Anna Llenas (Gribaudo, 2019) per metterci in dialogo ed entrare delicatamente in contatto con le emozioni dei genitori dei giovani con disabilità protagonisti del percorso di Vita Autonoma Indipendente Libera che quest’anno ha coinvolto il Progetto Calamaio all’Ostello di Combo, Bologna.
Per farlo ci siamo come sempre messi tutti sullo stesso piano, educatori, genitori, disabili e non, scegliendo le emozioni più semplici e più difficili da gestire, ciascuno a suo modo, ispirati dalle bellissime immagini di Llenas che abbiamo trasformato in carte.
Non sempre infatti sappiamo qual è davvero il significato di un’emozione e nella condivisione abbiamo cercato di scoprirlo entrando al fondo della nostra intimità, complice un forte clima di fiducia che ha permesso di accogliere lacrime, risate, incertezze ed empatia senza paura.
Distacco, voglia, paura del nuovo, futuro, libertà, condivisione, cura, alleggerire…Così, dopo l’incontro con le emozioni, ecco le parole chiave emerse, vere e proprie parole-bussola su cui sostare o su cui costruire le nostre prossime tappe volte all’affiancamento della realizzazione di un progetto di vita personalizzato per i nostri colleghi con disabilità sperimentandoci ancora e insieme in percorsi di autonomia nella città.
Essere insieme è importante perché, se è indispensabile che i genitori sappiano che “non si può diventare grandi se non ci si riesce a pensare grandi” – come ci ricorda la psicologa Rosanna De Sanctis di Associazione d’Idee, parte integrante, durante l’anno, di questo percorso- parlare di totale autonomia significa “parlare di totale isolamento. Nessuno può essere totalmente autonomo se non c’è la presenza dell’altro. Ciascuno può essere autonomo in relazione al progetto di vita che si costruisce e la costruzione di un progetto di vita è un percorso, come quello che state facendo. Ogni famiglia ha delle fasi in questo percorso, tappe scandite anche da questi momenti, momenti importanti di conforto e cura”.
E per non concludere e fare tesoro di questi momenti, scegliamo ora di salutarci con la parola “gratitudine”, prendendo ancora una volta in prestito il libro di Anna Llenas.
“La gratitudine è una delle emozioni più belle e significanti che ci siano. Significa dare valore e riconoscimento a una cosa o a un favore che ci hanno fatto. Essere riconoscente per quello che la vita e le persone ti danno è una delle ricette più semplici della felicità”.
Ripercorriamo, attraverso lo sguardo di Sara Foschi, animatrice con disabilità del Progetto Calamaio e partecipante del percorso di Vita Indipendente e Autonoma V.I.A Libera, alcuni momenti della festa del 6 giugno della Coop.Accaparlante e dell’incontro pubblico di restituzione “V.I.A Libera. Incursioni ed esperienze di vita autonoma indipendente libera” che l’ha accompagnata.
“Finalmente, al CDH, c’è stata ci la festa dei 20 anni della Cooperativa Accaparlante!
La prima parte si è svolta nella nostra sede, al Pilastro, con l’incontro sul progetto Via libera e i partecipanti del progetto, tra cui io, hanno raccontato l’esperienza di autonomia svolta a Combo insieme agli educatori nella seconda settimana di gennaio e di maggio 2024.
In quel momento anche alcuni genitori hanno raccontato la loro esperienza nella settimana di maggio senza i loro figli.
Insieme a noi c’erano degli ospiti del Comune e dei docenti universitari che ci hanno aiutato a confrontarci.
La seconda parte della festa si è svolta al ristorante- pizzeria Porta Pazienza dove ci siamo divertiti e c’è stato tanto pubblico, lì c’era anche della buona musica e l’aperitivo.
Quante emozioni, mi sono anche commossa davanti al pubblico! Cosa posso dire di quella settimana a Combo? Io sono stata libera in quella settimana di scandire il tempo come volevo perché nella vita quotidiana non lo faccio mai.
E mia mamma? Con lei ho sempre condiviso tutto. Beh, è andata in vacanza da sola, per la prima volta, da quando sono nata.
All’inizio avevamo paura ma siamo state entrambe contente ed entrambe vogliamo ripetere questa esperienza, ciascuna con il proprio spazio, ciascuna a modo suo”.
Rossella Placuzzi, animatrice con disabilità del Progetto Calamaio racconta la sua esperienza da co-conduttrice con la collega animatrice Sara Gabella alla formazione rivolta al personale dell’Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna, nell’ambito di un ampio progetto in collaborazione con l’Istituto F. Cavazza di Bologna.
Il percorso, ad uso interno, è nato per implementare l’accessibilità della Biblioteca su vari livelli: accoglienza, implementazione del sito con linguaggi attenti alle buone pratiche e accessibili, redazione di testi specifici in versione Easy To Read.
Ecco che cosa ci racconta Rossella:
“La mattina di lunedì 19 febbraio 2024 abbiamo preso il treno: io e le mie colleghe ci siamo svegliate presto, per arrivare in stazione, abbiamo fatto colazione al bar e poi preso il treno. Arrivate a Ravenna abbiamo fatto una piccola visita alla tomba di Dante Alighieri da fuori poi siamo arrivate alla bellissima Biblioteca Classense di Ravenna
Quando siamo arrivati, abbiamo iniziato la formazione ai bibliotecari attraverso una presentazione che ha visto ognuno di loro dire il proprio nome e di cosa si occupano. Infine, ci hanno espresso la sensazione provata fin qui.
Subito dopo siamo passati ad attività concrete e ludiche come, ad esempio, la classica associazione di idee, un nostro cavallo di battaglia! Abbiamo scelto 4 parole: bambino, libro, estate e persona con disabilità. Ad ogni parola andava associato un termine che gli si confacesse; alle prime tre parole sono stati abbinati termini di gran lunga positivi, mentre all’ultima parola maggiormente negativi.
La cosa che è andata un po’ male, devo ammettere è stata una piccola incomprensione tra me e la mia collega Sara perché io ho preso un po’ troppo spazio e non l’ho fatta parlare, cosa che non va bene quando si fa formazione insieme e stiamo imparando a destreggiarci.
Invece tra le cose che sono andate bene c’è stato il nostro modo di rispondere alle domande che i bibliotecari ci hanno fatto, entrambe abbiamo risposto a tutto!
Dopo abbiamo cercato un posto dove mangiare e abbiamo mangiato cose tipiche della Romagna, poi un giro in città e poi abbiamo preso il treno e siamo tornate a casa…soddisfatte!”
Mario Paolini, pedagogista, musicologo, docente e formatore di insegnanti di sostengo, è noto a molti come autore del libro Chi sei tu per me? Persone con disabilità e operatori nel quotidiano (Erickson, 2009).
Lo scorso 4 dicembre alla Fattoria Urbana di Bologna, nell’ambito del seminario Oggi per domani a cura di Coop. Accaparlante e Circolo la Fattoria, con un contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Mario ha provato a rispondere a una domanda importante: come accompagnare e sostenere il distacco della persona con disabilità all’interno della famiglia?
Il pedagogista sceglie di partire dall’esperienza e di dare la parola ai diretti interessati.
“Di che distacco stai parlando? Del “Dopo di noi” o robe del genere? Mi stai chiedendo di parlare, senza dirlo, della mia morte, come se fosse facile o scontato parlarne o anche solo pensarci? Ma tu ci pensi alla tua e al dopo di te? Ma che vuoi da me? Che ti aiuti a risolvere i tuoi problemi, che sono quelli di avere un futuro ben descritto, progettato, scansionato e soprattutto tranquillo, con tutte le cose a posto, così stai tranquillo anche tu?
(…)
A Pordenone da diversi anni il progetto “Casa al sole” realizza progetti per la vita indipendente. Un progetto partito da alcune famiglie e sostenuto da operatori e istituzioni. Nel 2017 durante un convegno un genitore diceva questo:
Abbiamo capito sicuramente che i veri artefici della vita indipendente dei nostri figli siamo noi genitori. È infatti la famiglia l’elemento cardine che permette o non permette l’autonomia del figlio, che gli concede il suo spazio di pensiero e quindi la dignità di persona adulta.
È solo la famiglia che può dare quei permessi di crescita necessari ad una evoluzione della persona e che le permettono di conquistare gradualmente una identità adulta.
La visione che noi abbiamo di nostro figlio, delle sue capacità e dei suoi limiti, i nostri atteggiamenti educativi, il nostro modo di relazionarci con lui, le parole che usiamo sono tutti elementi che costruiscono la sua personalità che possono farlo evolvere o che possono fortemente limitarlo nelle sue possibilità.
La comprensione di chi egli è e la fiducia in se stesso gliele diamo noi.
Occorre cominciare presto, fin da piccoli, nel sostenere questo delicato processo di distanziamento. Occorre sapersi immedesimare nei pensieri e nelle preoccupazioni delle famiglie, senza mai giudicare o pensare a priori di avere la risposta giusta. Il metodo di lavoro è quello dell’alleanza. Costruire e manutenere una buona alleanza educativa con le famiglie, tra operatori e servizi, è uno dei mandati richiesti a chi opera in questo ambiente.
Nostro figlio si costruisce l’immagine di sé riflettendosi nei nostri occhi, nello sguardo che abbiamo verso di lui, nel nostro modo di trattarlo; noi siamo lo specchio in cui vede riflessa la sua immagine. Se io gli rimando un’immagine di incapacità, di infantilismo, di limite esonerandolo dalle regole egli avrà un’immagine di sé riduttiva e sarà molto difficile che riesca a far emergere tutte le sue potenzialità. Se io continuo a tenerlo costantemente per mano e lo tratto da bambino anche quando è grande, se per proteggerlo non gli permetto di sperimentare la vita vera, con tutte le regole che questa comporta, l’autonomia e la vita indipendente restano un’utopia.
Parliamoci chiaro, non è che vada sempre bene l’immagine riflessa che, come operatori, insegnanti, educatori, professionisti vari, rimandiamo alle persone con disabilità di cui ci occupiamo: quando va bene sono per sempre ragazzi, ma alle volte, troppe volte, fanno “i lavoretti”, prendono “la paghetta”, per non parlare de “il problema della sessualità”. L’autodeterminazione è un diritto scomodo che richiede agli operatori un cambio di posizionamento nel lavoro di cura. Se non lo troviamo e non rendiamo un po’ più normale, come facciamo a chiedere alle famiglie di farlo?
La possibilità di raggiungere una condizione adulta e una vita indipendente è strettamente legata alla capacità dei genitori di modificare nel tempo il loro modo di relazionarsi con il figlio e alla loro capacità di distanziamento per permettergli di diventare grande. Certamente per un genitore è una strada molto difficile e faticosa.
Dare indipendenza a qualunque figlio è difficile, se il figlio ha una disabilità intellettiva la fatica per me genitore è doppia perché lui non ha la forza di sganciarsi da solo. Perciò devo essere io a superare anche per lui l’istinto di continuare a tenerci per mano e mollare gradualmente la mano che tengo stretta, e che lui da solo non sarebbe in grado di mollare, per permettergli di accendere il “suo” pensiero e percorrere la sua strada. Tenerlo sotto le mie ali protettive potrebbe essere più tranquillizzante per me. Conosco i suoi limiti, ma se gli riconosco anche il diritto ad una sua vita indipendente e vissuta in tutti i suoi aspetti, compreso quello affettivo e sessuale, egli potrà riuscire a farlo solo se io genitore riesco a fare un passo indietro, se io ho la forza e la capacità di tagliare quel cordone ombelicale che ci tiene entrambi attaccati, per permettergli di camminare con le sue gambe.
Ci siamo resi conto che nei confronti dei figli noi facciamo spesso un’azione di sostituzione: pensiamo per loro, parliamo al loro posto, decidiamo per loro, organizziamo noi la loro vita, gliela facilitiamo il più possibile. Ma questi atteggiamenti non li aiutano a crescere nel pensiero e a diventare adulti!
I percorsi verso la vita indipendente implicano un processo di svincolo, di distanziamento graduale del genitore nei confronti del figlio, che non significa abbandono, ma significa fargli pian piano capire che il pensiero su di sé deve essere suo e non continuare ad affidarsi al mio e deve anche sentire che io glielo permetto perché lui è altro da me e io gli riconosco questa dignità.
Sono parole che, come operatore, devo far diventare mie, che, come insegnante, devono tracciare una rotta aperta al crescere e al divenire. Se vogliamo favorire il distacco nel lavoro con le famiglie dobbiamo ricominciare ad ascoltare le loro voci e quelle delle persone fragili, imperfette, a cui essere accanto per esigere, come scrisse Giuseppe Pontiggia, il diritto a essere sé stessi.
Grazie a Mario e a tutti i partecipanti a questo evento molto sentito che speriamo possa essere alla base di un nuovo inizio per progettare insieme al territorio, alle famiglie e ai servizi nuove forme d’abitare il più possibile vicine alle nostre esigenze, bisogni e desideri.
Rossella Placuzzi, animatrice del Progetto Calamaio, appassionata d’arte e abile spadaccina, partecipante e vincitrice di numerosi tornei di scherma in carrozzina, ci racconta ora la sua prima esperienza di vita indipendente all’ostello di ComBO, in Bolognina, vissuto insieme agli educatori e ai colleghi con disabilità del gruppo. Una vera sfida, un modo completamente diverso, per lei, di mettersi in gioco nel quotidiano.
IL PRIMA – Rossella, che cosa ti immagini di trovare a ComBO e in quest’esperienza?
Non ho mai provato a fare un‘ esperienza simile fuori casa e in autonomia perché dormire fuori mi mette in ansia. Sono anche spaventata di non riuscire a fare cose che abitualmente faccio da sola come ad esempio vestirsi e andare in bagno.
Visualizzando l’ostello sulla mappa ho notato che e molto vicino a dei parchi che vorrei visitare.
Da questa esperienza mi aspetto di viverla con più tranquillità e meno ansia perché sarà una bella cosa da vivere in compagnia di amici e colleghi.
Le mie paure sono: dormire fuori casa , andare in bagno, vestirmi da sola e spero di non incontrare spazi chiusi.
Durante l’esperienza mi piacerebbe molto girare per il centro, fare shopping di vestiti con la mia compagnia e cenare in un ristorante giapponese.
Giornata ideale: entrare nell’ostello, sistemare i bagagli, visitiamo il centro, quando e ora di mangiare andiamo in un ristorante giapponese. Dopo aver pagato il conto usciamo dal ristorante e facciamo una passeggiata per digerire la cena.
IL DOPO – Come è andata?
L’esperienza di ComBO è stata STUPENDA perché ora sono consapevole delle mie capacita e abilità. Sono andata a ComBO, in autobus con Emanuela Elie Sandra Irene e Ermanno poi siamo scesi dall’ autobus e abbiamo camminato per un bel po’ ComBO è un ostello situato dietro la stazione dei treni di Bologna
Per me ComBO è stata un’esperienza molto bella, non ero da sola ero con i colleghi.
IO sono riuscita a dare all’ingresso la mia carta di identità, sono riuscita ad aprire la porta dell’ostello poi sono riuscita a stare una notte fuori casa senza genitori.
Mi sono divertita un sacco la sera perché siamo andati a mangiare una pizza tutti insieme io ero in stanza con la Manu, la ssandra e Irene e in un’altra c’erano Ermanno e Elie e poi ci hanno aiutato anche Anna e Mavi due ragazze esterne al progetto.
E io sono riuscita a fare delle cose… come ad esempio sono uscita completamente dalla mia “ zona di comfort “, per me e stato un momento di crescita mia personale ed emotiva, pensavo che fosse difficile fare questa cosa invece non e stato difficile perché io faccio parte del gruppo CALAMAIO
Per me è stata una riscoperta di me stessa certe situazioni difficili le ho sapute gestire molto bene
Per la prima volta ero felice per le cose che sono riuscita a fare e ringrazio tantissimo la Sandra e Manu
Io penso che nelle cose che si fanno ci vuole impegno passione amore …. Nelle cose che si fanno.
Abbiamo fatto tardi, le ore piccole, però ci siamo divertiti.
Un’esperienza importante perché un’ esperienza di autonomia completa .
Penso che adesso io sia più consapevole di quello che riesco a fare.
Un ringraziamento speciale al gruppo Calamaio, sono orgogliosa di farne parte.
Andrea Mezzetti, animatore del Progetto Calamaio, pittore, appassionato di musica, arte, fotografia e spritz ci racconta in un ironico botta e risposta la sua prima esperienza di vita indipendente all’ostello ComBO di Bologna.
Fare la spesa, cucinare, godersi un caffè al bar, condividere tempi e spazi ma rispettare anche i propri gusti, bisogni e desideri.
Una piccola, grande sfida quella intrapresa a “Una ComBo di esperienze” resa possibile dagli educatori del Progetto Calamaio e dalla fiducia delle famiglie dei partecipanti, un impegno che ci chiama a stare e lavorare sul presente, la cosa più importante per concepirsi nel futuro.
Andrea, se pensi alla tua esperienza trascorsa a ComBo, quali parole chiave ti vengono in mente?
Emozione, timore, ansia, un pochino. Chiaramente perché, ha ragione l’educatore, ansia perché non sapevo se potevo fumare in pace, pigiare in santa pace, bermi quello che volevo..ecc.ecc, diciamo soddisfare le mie “cagatine”, i miei vizi.
La più grande difficoltà?
Francamente di difficoltà non mi sembra di averne riscontate, sarà che non voglio vederle, forse, po’ esse
Quella Cosa che hai imparato/sperimentato e che ti porti a casa.
Francamente…non so, presumo niente, come sempre, non ce la posso fare, sono bravo vero??
I momenti più piacevoli?
Direi il primo o il secondo giorno che ci siamo fermati in un barretto molto carino.
E quelli meno?
Ho paura di non averne riscontrati, ripeto, sarò io che non voglio vederne, probabile.
Tornato a casa, quali sensazioni, quali emozioni, quali pensieri dopo il rientro e il ritorno alla “normalità”?
Pessima sensazione, mi piaceva stare là. C’era anche quello scoppiato di CamCam (collega con disabilità del Progetto Calamaio) con me e stavo veramente BENE.
E adesso? Idee, desideri, suggestioni sul futuro. Qual è il prossimo passo?
Un’idea potrebbe essere, anche se NO, cavolo dico. Francamente non so, abitando poi in provincia, diciamo “lontano”, non conosco bene le possibilità che ci possono essere in tutta Bologna, ma…chissà…Quest’esperienza aggiunge un ma.
Sara Foschi, animatrice del Progetto Calamaio, assidua frequentatrice dei laboratori del Teatro ITC di San Lazzaro (qui la vediamo condividere con i colleghi la storia del celebre drammaturgo Eugène Ionesco) è anche partecipante al laboratorio integrato di traduzione in simboli CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) “Librarsi”.
Oggi Sara ci racconta proprio il suo punto di vista di traduttrice in simboli, in occasione della formazione per bibliotecari condotta dal Calamaio nell’ambito del progetto Narrazioni Multimediali – Casa Gialla For All.
“Lunedì 30 gennaio siamo andati alla Casa Gialla per condurre e formare sul libro modificato il pubblico di varie biblioteche di bologna. A condurre eravamo noi tre io, Camilo, e Luca.
Per iniziare l’incontro abbiamo presentato chi siamo e cosa facciamo e come è nato il Progetto Calamaio.
Successivamente io ho spiegato cosa facciamo noi il giovedì mattina all’interno del laboratorio Librarsi, l’unica giornata in cui possiamo fare il lavoro individuale, perché come sapete all’interno del nostro progetto ci sono varie giornate di laboratori.
Dopo esserci presentati abbiamo fatto una piccola presentazione su PowerPoint su come si fa a modificare in varie lingue diverse e abbiamo scoperto che ci sono diversi modi per esprimere lo stesso simbolo. Ad esempio se noi facciamo un disegno di un cerchio con attorno i suoi raggi tutti capiscono che parliamo del sole.
Quando abbiamo finito la dimostrazione avevamo portato vari libri modificati da noi per fagli capire cosa intendevamo e vedere il lavoro finito, poi abbiamo spiegato come si modifica un testo in simboli. Ha condotto questo il mio collega Camilo che aveva già spiegato “le tre regoline” prima di iniziare il lavoro.
Camilo ha spiegato le tre regoline che sono: la riquadratura cioè che ogni parola corrisponde ad un simbolo, il colore, che deve essere sempre bianco e nero per non influenzare il lettore, e, l’ultimo, la parola è sempre sopra il simbolo perché se no la scritta può coprire l’immagine.
Successivamente abbiamo fatto due giochini…Abbiamo proposto loro delle frasi svedesi e chiesto che cosa per loro potevano significare le varie parole che alcuni hanno indovinato ma non sapevano che a ogni parola corrispondeva di un simbolo.
Dopo abbiamo fatto una piccola pausa.
Dopo la pausa abbiamo iniziato un’attività, cioè lavorare sul libro modificato e li avevamo divisi in coppie e loro dovevano provare a scrivere in simboli una recensione di un libro preferito.
Alla fine dell’attività io gli ho chiesto se loro avessero trovato delle difficoltà, e loro hanno risposto di sì perché per loro non era facile scrivere in simboli.
All’incontro ho trovato un po’ di imbarazzo quando ho dovuto spiegare il nostro lavoro all’interno del progetto librarsi.
Faccio molta fatica a guardare il pubblico che sto formando e per quasi tutto l’incontro ho guardato il mio collega Luca Cenci.
Che emozione però, l’incontro, alla fine, l’ho condotto anch’io!”
***
La formazione per bibliotecari è una delle azioni previste dal progetto “Casa Gialla For All”, cofinanziato con il contributo dell’Unione Europea nell’ambito di PON metro-Comune di Bologna.
In collaborazione con: Bologna Biblioteche – Biblioteca Luigi Spina-Casa Gialla, Cooperativa Accaparlante, Fattoria Urbana.
Andrea Mezzetti, Tatiana Vitali, Camilo De La Cruz e Diego Centinaro, animatori con disabilità del Progetto Calamaio raccontano, insieme ad Alvise De Fraja, volontario del Servizio Civile Universale, la loro prima esperienza d’attori durante lo spettacolo “Amuri” di Gruppo Elettrogeno Teatro, in scena lo scorso 13 e 14 giugno all’Arena Orfeonica di Bologna.
Che quartetto esplosivo che abbiamo visto in scena all’Arena Orfeonica! Come è stato lasciare i panni dell’animatore per entrare in quelli dell’attore, nel caso di Andrea, Tatiana e Diego, e del cantante e musicista, nel caso di Camilo?
Diego: Io bene, mi sono trovato bene. Perché ero quello che facevo le cose, ero più al centro dell’azione. E poi mi è piaciuto molto quello che ho fatto perché ero in piedi.
Andrea: È stato bello e affascinante e si spera con buoni risultati. La differenza principale è che in questa occasione del teatro eravamo al centro dell’attenzione, mentre a lavoro la figura dell’educatore, anche nelle animazioni, è molto presente.
Tatiana:Il mio lavoro mi vede nei panni di un’animatrice, in cui generalmente si opera con i bambini nelle scuole avendo già una traccia prestabilita e seguita da diverse attività di gioco o di dialogo. L’ attore invece nello spettacolo deve entrare nel personaggio che rappresenta anche attraverso le emozioni e io ho potuto scegliere cosa e come poter far trasparire una parte di me stessa recitando la parte assegnatami. Io ho conosciuto Gruppo Elettrogeno Teatro nel 2019. Fin dall’inizio, frequentando e facendo laboratori, negli anni ho capito che quel contesto era il mio spazio di libertà e quest’anno abbiamo potuto fare lo spettacolo “Amuri” in presenza, ed è stato molto bello, sia fare il laboratorio sia la preparazione dello spettacolo stesso. Noi come attori lavorando insieme ci siamo molto aperti e ci siamo conosciuti a livello profondo, ci siamo sentiti liberi di esprimere i nostri pensieri e non giudicati, potevamo dire tutto quello che volevamo e la regista Martina Palmieri è molto brava e sensibile. Io mi sento un’attrice, è stato molto bello preparare lo spettacolo e il risultato finale ha avuto un grande successo. Per la mia partecipazione ho avuto un ottimo feedback dalla regista e dal gruppo stesso e anche da parte del pubblico. Il gruppo Elettrogeno insieme alla regista mi vogliono come io voglio loro perché stiamo molto bene insieme. Io da loro non sono considerata una persona con disabilità, ma infatti all’interno del gruppo non si parla mai di disabilità, sono una persona e considerata un’attrice. Questo mi fa stare bene.
“Amuri” è il titolo dello spettacolo che vi ha visti protagonisti, è una parola presa a prestito dal dialetto siciliano e indica la pluralità, le tante sfumature dell’amore. Ma che cos’è per voi l’Amore?
Andrea: per me è semplicemente una cazzata che non esiste…. No, diciamo che è un argomento molto lungo per trattarlo in un solo articolo.
Camilo: L’amore però esiste anche per l’amicizia, l’amore per me è il rispetto. Nel nostro spettacolo l’amore è proprio l’amore che c’è sempre, ovunque in qualsiasi momento. Però secondo me l’amore è rispetto, soprattutto rispetto per sé stessi, se non ce l’hai non puoi esprimerlo per gli altri. Poi ovviamente ognuno interpreta a modo suo la parola amore.
Andrea: Effettivamente Cami ha ragione, perché è vero che dipende dal punto di vista di una persona, di come lo interpreta.
Diego: Per me l’amore è difficile.
Andrea: Ma difficile da comprendere?
Diego: È difficile perché ci vuole molto impegno da parte delle persone che sono innamorate. È anche avere la voglia di stare insieme.
Camilo: È impegno soprattutto da parte tua perché parte da te, prima è un impegno nei propri confronti nel rispettare prima se stessi. Come nella vita non siamo sempre tutti d’accordo, nel senso che non possiamo essere d’accordo con tutti: il punto allora è come dobbiamo sempre cercare di adeguarci alle situazioni e allora entra in gioco il rispetto per sé stessi e per gli altri.
Diego: Io comunque ho bisogno di qualcuno che mi segua.
Camilo: Io non so se c’è bisogno di qualcuno che ti segua, perché di amare siamo capaci tutti. A livello di affettività credo che tu sia in grado di farlo capire all’altra persona. Su questo siamo abbastanza autonomi. Non parlo tanto del “fare l’amore”, anche semplicemente dell’affetto, dell’amicizia. Ognuno di noi ha il proprio modo.
Alvise: Si potrebbe dire che siamo uguali perché tutti sono capaci di amare, ma siamo diversi perché ognuno lo fa a modo suo.
Diego: L’amore secondo me sono due cose: l’amore fra due persone e l’amore verso sé stessi, prendersi cura di sé e poi c’è anche la cura degli altri per me.
Tatiana:L’amore per me ha tante sfaccettature, infatti come si è visto nello spettacolo non esiste un solo tipo di amore e secondo noi come persone e poi attori bisognerebbe essere aperti a ogni tipo di amore, perché nel mondo ci sono molti tipi di amore.
Lo spettacolo è il risultato di un lungo percorso laboratoriale di musica e teatro in cui vi siete confrontati con voi stessi e con altre persone, non necessariamente educatori, e con dei professionisti del settore. È stato difficile affrontare certi nodi personali? In questo senso che cosa ha rappresentato l’incontro con il resto del gruppo?
Andrea: per me non è stato difficile per niente, anzi è stato molto bello, ecco. Perché le persone del GET mi sono sembrate abbastanza, diciamo, cordiali, abbastanza gentili, sono state in grado di metterci a nostro agio e anche se ho dovuto affrontare nodi personali non ci ho fatto troppo caso perché non mi è sembrata l’occasione.
Diego: A me è piaciuto molto perché loro avevano molta competenza nel trattare con persone con disabilità e questa cosa qui a me piace molto.
Camilo: La difficoltà c’è stata sempre, ovviamente sono dovuto andare avanti e adeguarmi alle situazioni; quindi, mi sentivo dover reagire al lato positivo, diciamo che all’interno del gruppo mi è piaciuto perché ho imparato delle cose nuove.
Tatiana: Per me non è stato difficile, è stato un modo di mettermi in gioco ed entrare in contatto con il mio personaggio. Il percorso laboratoriale è stato molto divertente e liberatorio dai vincoli familiari perché mi sono sentita completamente autonoma. Avendo io difficoltà di linguaggio, tutti gli attori e la regista mi hanno dimostrato che mettendosi in ascolto e rispettando i miei tempi mi capiscono senza nessun problema, questo per me è stato un ostacolo superato con mia soddisfazione.
Qual è il vostro momento preferito dello spettacolo?
Andrea: Direi la fine, perché vuol dire che me la son cavata e che non ho fatto danni. Mi è piaciuta molto la scena con me e Mariolina perché in scena siamo solo io e lei e diciamo che c’è abbastanza attaccamento dal punto di vista fisico, siamo molto vicini e questo mi ha suscitato, diciamo, “benessere”.
Diego: Quello che ho fatto io, perché ero il protagonista. Mi è piaciuto molto quando mi hanno alzato su e poi anche la musica che cantava Camilo perché lui è molto bravo. E mi è piaciuto molto anche quando ho allungato il braccio e ho preso per mano un’altra attrice e l’ho portata vicino a me e poi l’ho accarezzata. Questo momento mi è piaciuto perché è stato molto forte per il pubblico.
Camilo: Io personalmente volevo far arrivare a loro le mie emozioni, non abbiamo fatto uno spettacolo solo per farlo ma invece l’abbiamo fatto per mandare un messaggio significativo e anche l’abbiamo fatto per far divertire il pubblico e per fargli capire che nonostante la nostra disabilità nessuno può impedire di fare o inventare ciò che vogliamo e che anche noi abbiamo dei talenti.
Tatiana: È stato tutto molto bello, io ho due momenti preferiti dello spettacolo: il primo è stato quello della mia prima scena in cui io volevo entrare all’interno del Simposio ma essendo donna e disabile secondo le regole di quel periodo non ero degna di far parte del simposio stesso e il mio partner mi voleva mettere fuori, io non ho rinunciato e ho spinto a terra tutti i partecipanti a quella scena. Il secondo momento preferito è stato quello dell’atto finale, dove tutti abbiamo ballato davanti al pubblico, lo stesso pubblico alla fine è entrato nello spettacolo ballando con noi, è stata un’esperienza che mi rimarrà dentro per sempre nel cuore.
Che cosa volevate suscitare nel pubblico presente?
Andrea: Posso fare una battuta? Vomito, tanto vomito! ma parlando sul serio, che tutto questo vale per ogni persona.
Diego: Che anche le persone con disabilità possono amare.
Camilo: Io personalmente volevo far arrivare a loro le mie emozioni, non abbiamo fatto uno spettacolo solo per farlo ma invece l’abbiamo fatto per mandare un messaggio significativo e anche l’abbiamo fatto per far divertire il pubblico e per farlo capire che nonostante la nostra disabilità nessuno può impedire di fare o inventare ciò che vogliamo, e per farlo anche capire che anche noi abbiamo dei talenti.
Tatiana: Il gruppo è formato da tante di persone ognuno con la propria peculiarità e caratteristica e attraverso lo spettacolo volevamo far riflettere e far comprendere alle persone che l’amore non è mai unico ma esistono una pluralità di amori che vanno accolti e rispettati, allo stesso tempo fare divertire il pubblico.
Lo rifareste?
Andrea: probabile!
Diego: Sì!
Camilo: Sì lo rifarei molto volentieri perché mi sono divertito e mi sono sentito libero e soprattutto era una bellissima esperienza.
Tatiana: Sì, lo rifarei molto volentieri, e penso sia stato per me l’inizio di una lunga serie.
Grazie alla regista Martina Palmieri, all’educatrice del Progetto Calamaio Barbara Rodi, che ha seguito e partecipato all’intero percorso, e a tutto Gruppo Elettrogeno Teatro per la bellissima esperienza!
Ecco che cosa si nasconde dietro alle bellissime illustrazioni del libro Il mio Afghanistandi Gholam Najafi, la nostra ultima pubblicazione per la collana in CAA Parimenti di Edizioni la meridiana, presentata lo scorso 30 aprile alla Fiera “Fa’ la cosa giusta” di Milano. Ce ne parla l’autore, Camilo De la Cruz!
Caro Camilo, la tua passione per il disegno non è certo una novità, ma è la prima volta che le tue illustrazioni vengono pubblicate su un libro. Come ci si sente? Cosa hai pensato quando lo hai ricevuto?
Ammetto che inizialmente ero preoccupato, perché era la prima volta che ricevevo un incarico del genere. Alla fine, però, mi sono ritenuto soddisfatto del lavoro che ho fatto, ho molto apprezzato il mio risultato finale.
Nonostante tu abbia una disabilità motoria e sia fortemente condizionato nell’uso delle mani riesci comunque a realizzare disegni complessi e ricchi di particolari. Come fai?
Ho studiato al Liceo Artistico e successivamente per un breve periodo all’Accademia delle Belle Arti, quindi ho sempre avuto interesse ad approfondire il disegno. Ho avuto anche tanta passione per l’arte fin da quando sono piccolo, assieme a tanto esercizio. Inizialmente disegnavo e scrivevo con i piedi, l’unica parte del mio corpo che riuscivo a muovere in modo completo. A seguito di due interventi che ho subìto, ho dovuto smettere di usare i piedi e ho iniziato ad usare le mani. Molti anni dopo l’intervento ai piedi ho iniziato anche a disegnare con la bocca.
Inche modo le parole di Gholam Najafi ti sono state di ispirazione, viceversa, come hai adattato il tuo stile e le tue immagini al suo racconto?
Ho provato molta empatia con la storia di Gholam Najafi: condividiamo una forte determinazione a cambiare la nostra vita. Intendo dire che entrambi abbiamo adeguato le nostre capacità ai nostri bisogni, usando tutta la nostra volontà. Si capiscono le caratteristiche di Najafi dalla sua scrittura, mentre penso che si capisca molto di me dal mio modo di disegnare.
Oltre che un appassionato di arte e canto, Camilo è anche un educatore. Come reagiscono le bambine e i bambini che incontri a scuola quando ti vedono disegnare? Che cosa cerchi di restituire e trasmettere loro?
Il disegno e l’arte sono universali: sono un metodo comunicativo per bambini e adulti. Io per avvicinarmi ai bimbi uso il disegno, infatti ci scambiamo dei punti di vista su quello che rappresentiamo durante gli incontri. Mi dà tanta soddisfazione vedere la loro meraviglia quando disegno: spesso infatti pensano che io non sappia disegnare, ma poi si ricredono. Mi preme molto mostrare loro come il disegno sia per me uno sfogo creativo.
I libri di Parimenti sono frutto del lavoro congiunto tra Edizioni la meridiana e un gruppo integrato di educatori e animatori con disabilità che partecipa al laboratorio permanente di traduzione in simboli “Librarsi” a cura del Progetto Calamaio.
Immaginate di fare un salto indietro nel tempo, catapultandovi, magari, all’epoca dell’Antica Grecia, quella di Platone!
E ora pensate un po’ a come potreste sentirvi, se vi trovaste di soppiatto nel bel mezzo di un “simposio”, quel banchetto dove filosofi e pensatori erano impegnati a discorrere del sentimento più controverso e ricercato al mondo… Parliamo ovviamente dell’Amore!
Sarebbe davvero curioso e alquanto improbabile, starete pensando, eppure c’è chi ha avuto modo di provare un’esperienza paradossalmente simile!
Ed è proprio a tal proposito che alcuni animatori del Progetto Calamaio potrebbero raccontarcene delle belle!
Tatiana Vitali, Diego Centinaro, Andrea Mezzetti e Camilo De La Cruz, infatti, ormai da diversi mesi partecipano al percorso interdisciplinare di formazione teatrale e musicale, I Fiori Blu: musicateatro – sesta edizione, curato da Gruppo Elettrogeno Teatro, un progetto rivolto a persone che accedono alle misure alternative alla detenzione, a operatori sociali, persone di diversa età e provenienza, persone con disabilità, studenti e performers.
Così, nel corso di questa esperienza laboratoriale, all’interno di una vera e propria comunità artistica, i nostri pezzi da novanta hanno contribuito alla realizzazione di un bellissimo monologo a più voci, Daimon of love – andato in onda su Radio Oltre lo scorso 21 Dicembre come restituzione del lavoro realizzato da “I Fiori Blu” – che si ispira proprio al Il Simposio di Platone.
In questa produzione corale ciascun partecipante ha avuto modo di esprimere e interpretare la sua idea di amore, talvolta con ironia, talvolta cantando, talvolta a partire da citazioni, proverbi e luoghi comuni che appartengono sì alla cultura popolare, ma che finiscono poi col riflettersi inevitabilmente nelle vite di ognuno, rafforzando le proprie credenze o addirittura maturandone di nuove.
Ma ora leggete cosa scrivono di questo percorso i nostri “simposiani”:
“Da quest’anno faccio parte della compagnia dei Fiori Blu. All’inizio del laboratorio ci siamo veramente ritrovati come se io fossi sempre stata con loro.
Stiamo imparando a muoverci e a tenere dialoghi e mi piace veramente molto.
Alle volte basta una battuta per darti la carica, nel senso che magari senti un attore che fa una battuta e magari il gruppo senza saperlo ci va dietro e regge il gioco. Piano piano stiamo imparando a staccarci dalla carrozzina perché il Simposio nasce come una cena dove tutti i filosofi erano coricati per terra.
La diretta radiofonica è stata un’anteprima di quello che faremo prossimamente dal vivo. Prepararsi è stato bello: avevamo il nostro copione e per il giorno della restituzione abbiamo imparato a memoria le nostre parti, è stato bellissimo farlo perché ho sentito il supporto di tutti”.
Tatiana Vitali, animatrice del Progetto Calamaio.
“Far parte del gruppo I Fiori Blu significa molto per me perché è un posto dove sono riuscito a trovare la mia dimensione, infatti, la mia passione più grande è la musica, in particolare, il canto. Questo è un ambito dove tiro fuori il meglio di me stesso: riesco a far uscire la mia creatività attraverso la voce e a interpretare al meglio come mi sento. Ma non è solo questo: quando sono nel gruppo mi sento in famiglia. Questa esperienza mi ha arricchito molto perché imparo sempre cose nuove, per esempio, “stare a ritmo” di musica e a seguire le indicazioni del maestro, inoltre, a stare con persone competenti nel canto mi sento stimolato, acquisisco varie conoscenze e competenze.
Ascoltarmi in radio è stato davvero strano, perché mi sentivo un’altra persona però mi sono sentito soddisfatto di come il nostro lavoro è riuscito. Ho trovato che la parte musicale del progetto si sia ben integrata con quella teatrale. È stato davvero interessante. E tutti sono stati davvero bravi. Sono fiero di far parte di questo gruppo “allargato”.
Camilo De la Cruz, animatore del Progetto Calamaio
“Affrontare il tema dell’amore nel percorso è stato molto bello e forte perché di solito faccio molta fatica a parlarne. In questo caso è stato diverso, è stato più semplice perché ciascuno ha espresso la sua idea di amore, e quando io ho detto la mia nessuno mi ha giudicato, mi sono sentito compreso da tutti.
Nella realizzazione del copione per la restituzione radiofonica ho dato il mio contributo, ho dato tutto me stesso e tutto il mio cuore, anche se spesso dico che per me l’amore è difficile. Ascoltarmi mi ha fatto un certo effetto perché non ho mai preso parte ad una trasmissione alla radio. È stato stimolante fare un’esperienza del tutto nuova”.