Skip to main content

Autore: Progetto Calamaio

Insieme verso l’adultità

Il percorso verso l’adultità è una grande sfida che cha messo subito in gioco i giovani con disabilità partecipanti al laboratorio “Insieme verso l’adultità” a cura del Progetto Calamaio nell’ambito del progetto Periferie Inclusive.

Che cosa distingue l’autonomia dall’autosufficienza? Che cosa vuol dire SENTIRE il bisogno e attivarsi per chiedere aiuto?
Sono domande, queste, che per molte persone possono essere complesse.

Per questo abbiamo fatto un passo indietro e ce ne siamo fatti prima delle altre…Ecco che cosa ha risposto Ruslana, giovane adulta con disabilità in viaggio verso l’adultità:

  • Che cos’è autonomia? 

Per me l’autonomia è uscire, fare la spesa e fare la gita della scuola. Riuscire a fare le cose da sola, tipo cucinare. Mi piacerebbe fare qualche corso di psicologico e andare a vedere la scuola che ci sono in giro, le università. Per ma l’autonomia è muovermi libera, prendere l’autobus, scendere e salire. Costruire una famiglia, una vita “normale”. 

  • In cosa sei autonoma? 

A casa sono tutta autonoma, cucino e stendo i panni. Lavo anche per terra camminando con il girello, pulisco pavimento e tavoli. Cucino piano, mi piace cucinare le patate e le tante paste. 

  • In cosa non sei autonoma? 

Non sono autonoma ad uscire fuori da sola, non riesco a fare la spesa. Non sono autonoma ad andare a qualche parte perché prima devo imparare la strada per arrivarci.  Mi perdo facilmente, non sono brava ad orientarmi. Ho grandi difficoltà a capire quando attraversare la strada e mi agito molto. Faccio fatica a chiedere aiuto ma se sono in grande difficoltà lo faccio.  

 

Le consapevolezze di Ruslana, che da qui ha saputo rileggersi, sono il primo passo per intraprendere un percorso alla scoperta di sé e di quelle risorse che possiamo mettere in atto per migliorare la nostra qualità della vita e apportare cambiamenti graduali ma determinanti.

Se, come dice l’etimo della parola, autonomia è “vivere secondo le proprie leggi”, quelle leggi prima dobbiamo riconoscerle, poi abitarle e infine stabilirle.                                                                                                                                                                                                                  Sembra impossibile?

Basta partire dalle cose più piccole…Stay tuned!

 

***

“Insieme verso l’adultità” si inserisce nell’ambito del progetto “Uno, nessuno, centomila” nell’ambito del Bando Periferie Inclusive per l’inclusione delle persone con disabilità delle aree periferiche urbane della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche in favore delle persone con disabilità, rivolto ad enti del Terzo Settore.
Il progetto è promosso d aOsteria sociale “La Tìz” – Cooperativa IT2 – Coop. Accaparlante, Circolo La Fattoria , Associazione CEPS e Associazione Il Parco.

Alla scoperta dell’altro con la comunicazione accessibile alla Scuola Primaria Don Minzoni

Sara Foschi, Luca Cenci, Vita Castrignano, Sara Gabella, Francesca Aggio, Elisabetta e Sonia a tu per tu i bambini della scuola primaria Don Minzoni di Bologna tra libri e giochi, pregiudizi da sfatare e sfide da superare, alla scoperta dell’accessibilità e dei suoi linguaggi. Ce ne parla Sara!

“Martedì 28 gennaio c’è stato il primo percorso con la classe quarta B don minzioni. 

All’inizio dell’incontro abbiamo fatto la presentazione dicendo il nostro nome e le due immagini che avevamo scelto. 

In quel percorso erano presenti: Sara Foschi, Luca Cenci, vita Castrignano, Sara Gabella, Francesca Aggio, Elisabetta, e Sonia.

Nella seconda parte dell’incontro si è trattato il tema del pregiudizio infatti dovevamo mandare a Luca Cenci in Whatsapp delle foto con cui ognuna delle partecipanti praticavano alcuni sport per far capire ai bambini che non è scontato che noi pur essendo disabili non possiamo fare sport, perché ognuno di noi pratica sport in maniera differente. 

Francesca Aggio alla fine della attività ha detto che dà piccola le piaceva molto andare a giocare a Tennis. 

Successivamente Luca ha condotto il gioco Uguali e diversi, che consisteva nel dire cinque cose uguali e cinque cose diverse tra me e Luca. 

Di seguito Luca ha dato ai bambini e alle loro maestre dei libri e ha chiesto a loro quali differenze avessero notato tra quelli tradizionali e quelli accessibili, Francesca Aggio ha spiegato che i libri in simboli servono per tutte le persone che hanno difficoltà nella comprensione della lettura, inoltre per far capire ai bambini per noi la parola “Accessibilità” a 360°non esiste. 

Perché per noi quella parola ha la funzione di creare un mondo più giusto e migliore per tutti. 

Dopo Luca ha condotto il gioco delle  “parole svedesi” prima senza il simbolo e poi con il simbolo per fargli capire ai bambini e alle loro maestre quanto per noi sia fondamentale il simbolo quando ci troviamo davanti a un libro non tradizionale e per far capire ai bambini che anche ai normodotati può capitare di essere in difficoltà. 

Poi Luca ha fatto vedere il video del sole per fargli capire che se andassimo in qualunque paese del mondo e disegnassimo una palla gialla con dei raggi intorno tutti posso capire che stiamo parlando del sole. 

Inoltre Sara Foschi ha condotto il gioco “Indovina la frase” consisteva nell’individuare le frasi senza i simboli e nel provare a riconoscere i simboli non evidenti all’interno della frase. 

Prima di salutarci noi insieme ai bambini abbiamo creato la storia in simboli della classe quarta B che poi gliela porteremo a scuola ai bambini. 

Ci siamo salutati e dopo abbiamo fatto il gioco del “mille +uno” Consisteva del dire che la persona che cammina ha bisogno per fare tutto mentre la persona in carrozzina di uno in più. 

Per me l’incontro è andato bene, anche se quando Luca ha chiesto alla classe se avessero delle domande da fare alle partecipanti, loro non s ci hanno fatto delle domande perché noi in quell’incontro abbiamo già portato la nostra esperienza.  Questo probabilmente anche perché dopo 2 ore di attività i bambini di 8 anni sono un po”stanchi!”.                                                                                                                                                                                                        

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando lo sport ti cambia la vita

Rossella Placuzzi, animatrice con disabilità del Progetto Calamaio, racconta la sua esperienza con lo sport e la scherma, sua grande passione insieme all’arte, attraverso cui mettersi alla prova, divertirsi e dare il meglio di sé.

Lo sport mi ha cambiato la vita – racconta Rossella- perché mi ha dato continue soddisfazioni anche al di fuori di quella che era la mia classica routine tra scuola e famiglia, così, già da adolescente ho cominciato a sperimentarmi in altri campi.

Il mio sport preferito è la scherma in carrozzina, passione che una volta ha voluto condividere con i colleghi del CDH, invitandoli, ad Expò Sanità, nel 2022, a provare tutta l’attrezzatura e a mettersi in gioco insieme a me e all’Associazione Zinella Scherma di San Lazzaro di Savena (BO).

Partecipo spesso a gare e di recente, proprio insieme alla Zinella, ho vinto la gara a squadre ai Campionati Italiani Assoluti di scherma paralimpica, nella categoria C sono arrivata al terzo posto con Monia Bolognini!

Come spesso mi succede, ho pianto e mi sono emozionata moltissimo, mi succede quando riesco a raggiungere obiettivi stupendi, come vincere una medaglia e sentirmi realizzata come persona.

Lo sport è tosto, è bellissimo ma, secondo me, nello sport a volte è difficile gestire le emozioni per le ansie da prestazione che ci sono e allora si può piangere e urlare per sfogare la tensione che hai in corpo.

Detto ciò, lo sport mi ha fatto crescere, nella conoscenza delle mie abilità e potenzialità e in quello che il mio corpo sa fare. Prima avevo paura di conoscerle ma adesso mi è passata del tutto e accetto le emozioni anche quelle che mi fanno essere un po’ triste.

A volte succede che durante lo sport mi vengano degli spasmi e mi condizionano un po’ perché spesso succede che sono tesa e di conseguenza devo un po’ uscire dal palazzetto dove mi alleno.

Essere consapevole delle difficoltà, però, non significa non poterle affrontare perché, se io mi conosco e mi accetto come sono, anche quando giocherò sarò più contenta e fare il mio dovere di atleta si trasformerà in un’altra emozione”.

Fare sport fa bene, parola di Rossella!

 

 

 

 

Insieme per conoscere “La vita di Vita”!

Vitaliya Castrignano, per tutti Vita, è la più recente leva del Progetto Calamaio, il gruppo educativo integrato di educatori e animatori con disabilità della Cooperativa Accaparlante e del Centro Documentazione Handicap di Bologna.

Di documentazione, infatti, Vita se ne intende…Vi state chiedendo che cosa ha in mano?

Quello che Vita ha in mano e ci ha da poco presentato è un bellissimo progetto che nell’estate del 2021 l’ha vista protagonista con la collaborazione dell’ITE Gaetano Salvemini di Bologna e la Scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia.  

Insieme a loro la nostra nuova collega è diventata così protagonista di una vera e propria piccola graphic novel, dal titolo La vita di Vita, attraverso cui Vita ha ripercorso la sua storia autobiografica, dalla nascita e la scoperta della propria disabilità in Ucraina, all’arrivo in Italia fino al difficile incontro con la scuola e il successivo percorso di emancipazione grazie alla musica e all’incontro con compagni e figure educative differenti.

Cresciuta con nonni in Ucraina, a 10 anni Vita raggiunge la mamma in Italia per lavoro, dovendo sostenere il distacco dalla famiglia d’origine e la perdita del Nonno Vito, parallelamente alle continue entrate e uscite in ospedale che segnano definitivamente la diagnosi di tetraparesi spastica e l’impossibilità di camminare. Nel corso del difficile percorso di accettazione, alle medie Vita non si sente purtroppo sostenuta, subendo frequenti atti di bullismo e chiudendosi a riccio con paura. Unica via di uscita e sollievo è la musica, in particolare il gruppo Il Volo, fondamentale per accompagnare la sua ricerca di fiducia in sé stessa.

Alla scuola superiore, tra alti e bassi, le cose miglioreranno quando Vita capirà che è lei in prima persona a dover mettere in atto il cambiamento e che lo sguardo che gli altri hanno su di lei cambierà solo se lei per prima cambierà lo sguardo che ha su di sé.

Intelligente, simpatica e sensibile Vita non passa inosservata e l’incontro con un gruppo educativo parrocchiale che le propone di lavorare come educatrice, insieme al rinnovato supporto di compagni e insegnanti, farà la differenza.

Alla fine, la graphic novel si conclude con una bellissima carrellata di immagini e sogni di Vita da grande, che si presenta come “più matura, con uno stile un po’ più mio–dichiara- in futuro mi vedo fare un lavoro che mi piace, tra i libri che amo, ad esempio, mi vedo provare cose nuove. Mi vedo felice, con le persone che amo. Mi vedo più saggia, di esempio per i miei fratellini. Ho perdonato per quello che ho sofferto. E non mi sento più in colpa di niente”.

Vita, sei nel posto giusto! Felicissimi di averti con noi!

***

La Vita di Vita è un progetto di Maria Ghidi, con le parole di Vitaliya Castrignano, il supporto alla narrazione di Alice Galano, le illustrazioni di Matilde Fiore, la sceneggiatura, il lettering e l’impaginazione di Marco Emilio Bonaccini.

V.I.A Libera alle emozioni! La parola ai genitori dopo il percorso di Vita Autonoma Indipendente Libera del Progetto Calamaio

Siamo partiti dalle splendide parole e immagini suggerite dall’albo “Labirinto dell’anima” di Anna Llenas (Gribaudo, 2019) per metterci in dialogo ed entrare delicatamente in contatto con le emozioni dei genitori dei giovani con disabilità protagonisti del percorso di Vita Autonoma Indipendente Libera che quest’anno ha coinvolto il Progetto Calamaio all’Ostello di Combo, Bologna.

Per farlo ci siamo come sempre messi tutti sullo stesso piano, educatori, genitori, disabili e non, scegliendo le emozioni più semplici e più difficili da gestire, ciascuno a suo modo, ispirati dalle bellissime immagini di Llenas che abbiamo trasformato in carte.

Non sempre infatti sappiamo qual è davvero il significato di un’emozione e nella condivisione abbiamo cercato di scoprirlo entrando al fondo della nostra intimità, complice un forte clima di fiducia che ha permesso di accogliere lacrime, risate, incertezze ed empatia senza paura.

Distacco, voglia, paura del nuovo, futuro, libertà, condivisione, cura, alleggerire…Così, dopo l’incontro con le emozioni, ecco le parole chiave emerse, vere e proprie parole-bussola su cui sostare o su cui costruire le nostre prossime tappe volte all’affiancamento della realizzazione di un progetto di vita personalizzato per i nostri colleghi con disabilità sperimentandoci ancora e insieme in percorsi di autonomia nella città.

Essere insieme è importante perché, se è indispensabile che i genitori sappiano che “non si può diventare grandi se non ci si riesce a pensare grandi” – come ci ricorda la psicologa Rosanna De Sanctis di Associazione d’Idee, parte integrante, durante l’anno, di questo percorso- parlare di totale autonomia significa “parlare di totale isolamento. Nessuno può essere totalmente autonomo se non c’è la presenza dell’altro. Ciascuno può essere autonomo in relazione al progetto di vita che si costruisce e la costruzione di un progetto di vita è un percorso, come quello che state facendo. Ogni famiglia ha delle fasi in questo percorso, tappe scandite anche da questi momenti, momenti importanti di conforto e cura”.

E per non concludere e fare tesoro di questi momenti, scegliamo ora di salutarci con la parola “gratitudine”, prendendo ancora una volta in prestito il libro di Anna Llenas.

“La gratitudine è una delle emozioni più belle e significanti che ci siano. Significa dare valore e riconoscimento a una cosa o a un favore che ci hanno fatto. Essere riconoscente per quello che la vita e le persone ti danno è una delle ricette più semplici della felicità”.

Che dire, abbiamo appena cominciato!

Grazie a tutte e tutti.

 

La mia V.I.A Libera!

Ripercorriamo, attraverso lo sguardo di Sara Foschi, animatrice con disabilità del Progetto Calamaio e partecipante del percorso di Vita Indipendente e Autonoma V.I.A Libera, alcuni momenti della festa del 6 giugno della Coop.Accaparlante e dell’incontro pubblico di restituzione “V.I.A Libera. Incursioni ed esperienze di vita autonoma indipendente libera” che l’ha accompagnata.

“Finalmente, al CDH, c’è stata ci la festa dei 20 anni della Cooperativa Accaparlante!

La prima parte si è svolta nella nostra sede, al Pilastro, con l’incontro sul progetto Via libera e i partecipanti del progetto, tra cui io, hanno raccontato l’esperienza di autonomia svolta a Combo insieme agli educatori nella seconda settimana di gennaio e di maggio 2024.

In quel momento anche alcuni genitori hanno raccontato la loro esperienza nella settimana di maggio senza i loro figli.

Insieme a noi c’erano degli ospiti del Comune e dei docenti universitari che ci hanno aiutato a confrontarci.

La seconda parte della festa si è svolta al ristorante- pizzeria Porta Pazienza dove ci siamo divertiti e c’è stato tanto pubblico, lì c’era anche della buona musica e l’aperitivo.

Quante emozioni, mi sono anche commossa davanti al pubblico! Cosa posso dire di quella settimana a Combo? Io sono stata libera in quella settimana di scandire il tempo come volevo perché nella vita quotidiana non lo faccio mai.

E mia mamma? Con lei ho sempre condiviso tutto. Beh, è andata in vacanza da sola, per la prima volta, da quando sono nata.

All’inizio avevamo paura ma siamo state entrambe contente ed entrambe vogliamo ripetere questa esperienza, ciascuna con il proprio spazio, ciascuna a modo suo”.

Per ulteriori info sul progetto:

https://shorturl.at/4VM23

 

 

 

 

 

 

 

 

Utile, divertita, affaticata…Euforica!

Irene, tra le più giovani leve tra gli animatori con disabilità parte del gruppo integrato del Progetto Calamaio, ci racconta una delle sue prime esperienze di animazione e incontro a scuola a confronto con le ragazze e i ragazzi del Liceo Scientifico Statale “A.B Sabin” di Bologna.

“Quante emozioni e pensieri sparsi dopo questa esperienza!

Consapevolezza, perché mi sono messa in gioco, il fatto di essermi massa in gioco mi ha fatto sentire utile, divertita, affaticata, euforica

Ho provato anche fatica e stanchezza, quando dovevo convincere, all’interno di un gioco, i ragazzi a uscire dalla stanza. La fatica di capire perché non uscivano non sapevo come farli uscire, alla fine ho urlato!

Durante il secondo incontro animazione però a quel punto mi sentivo preparata. C’era un po’ di caos ma ho pensato di fare attenzione ai giochi e dividere due azioni: giocare o pensare.

Non era facile, il caos mi distraeva.

Nel gioco di ruolo che ho condotto però ho pensato di parlare, di ignorare il resto, e di giocare. Alla mi sentivo meno affaticata ed è stato diverso da come me lo aspettavo”.

Avanti tutta Irene, è solo l’inizio!

Ph. Marco Sarti- Progetto Calamaio

Formazione per bibliotecari alla Biblioteca Classense di Ravenna!

Rossella Placuzzi, animatrice con disabilità del Progetto Calamaio racconta la sua esperienza da co-conduttrice con la collega animatrice Sara Gabella alla formazione rivolta al personale dell’Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna, nell’ambito di un ampio progetto in collaborazione con l’Istituto F. Cavazza di Bologna.

Il percorso, ad uso interno, è nato per implementare l’accessibilità della Biblioteca su vari livelli: accoglienza, implementazione del sito con linguaggi attenti alle buone pratiche e accessibili, redazione di testi specifici in versione Easy To Read.

Ecco che cosa ci racconta Rossella:

“La mattina di lunedì 19 febbraio 2024 abbiamo preso il treno: io e le mie colleghe ci siamo svegliate presto, per arrivare in stazione, abbiamo fatto colazione al bar e poi preso il treno. Arrivate a Ravenna abbiamo fatto una piccola visita alla tomba di Dante Alighieri da fuori poi siamo arrivate alla bellissima Biblioteca Classense di Ravenna

Quando siamo arrivati, abbiamo iniziato la formazione ai bibliotecari attraverso una presentazione che ha visto ognuno di loro dire il proprio nome e di cosa si occupano. Infine, ci hanno espresso la sensazione provata fin qui.

Subito dopo siamo passati ad attività concrete e ludiche come, ad esempio, la classica associazione di idee, un nostro cavallo di battaglia! Abbiamo scelto 4 parole: bambino, libro, estate e persona con disabilità. Ad ogni parola andava associato un termine che gli si confacesse; alle prime tre parole sono stati abbinati termini di gran lunga positivi, mentre all’ultima parola maggiormente negativi.

La cosa che è andata un po’ male, devo ammettere è stata una piccola incomprensione tra me e la mia collega Sara perché io ho preso un po’ troppo spazio e non l’ho fatta parlare, cosa che non va bene quando si fa formazione insieme e stiamo imparando a destreggiarci.

Invece tra le cose che sono andate bene c’è stato il nostro modo di rispondere alle domande che i bibliotecari ci hanno fatto, entrambe abbiamo risposto a tutto!

Dopo abbiamo cercato un posto dove mangiare e abbiamo mangiato cose tipiche della Romagna, poi un giro in città e poi abbiamo preso il treno e siamo tornate a casa…soddisfatte!”

Scopri qui le formazioni del Progetto Calamaio per operatori socio-culturali e aziende: https://www.accaparlante.it/progetto-calamaio/48-formazioni

Come si accende un pensiero? Le parole di Mario Paolini sul tema del distacco al convegno “Oggi per domani”

Mario Paolini, pedagogista, musicologo, docente e formatore di insegnanti di sostengo, è noto a molti come autore del libro Chi sei tu per me? Persone con disabilità e operatori nel quotidiano (Erickson, 2009).

Lo scorso 4 dicembre alla Fattoria Urbana di Bologna, nell’ambito del seminario Oggi per domani a cura di Coop. Accaparlante e Circolo la Fattoria, con un contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Mario ha provato a rispondere a una domanda importante: come accompagnare e sostenere il distacco della persona con disabilità all’interno della famiglia?

Il pedagogista sceglie di partire dall’esperienza e di dare la parola ai diretti interessati.

“Di che distacco stai parlando? Del “Dopo di noi” o robe del genere? Mi stai chiedendo di parlare, senza dirlo, della mia morte, come se fosse facile o scontato parlarne o anche solo pensarci? Ma tu ci pensi alla tua e al dopo di te? Ma che vuoi da me? Che ti aiuti a risolvere i tuoi problemi, che sono quelli di avere un futuro ben descritto, progettato, scansionato e soprattutto tranquillo, con tutte le cose a posto, così stai tranquillo anche tu?

(…)

A Pordenone da diversi anni il progetto “Casa al sole” realizza progetti per la vita indipendente. Un progetto partito da alcune famiglie e sostenuto da operatori e istituzioni. Nel 2017 durante un convegno un genitore diceva questo:

Abbiamo capito sicuramente che i veri artefici della vita indipendente dei nostri figli siamo noi genitori.  È infatti la famiglia l’elemento cardine che permette o non permette l’autonomia del figlio, che gli concede il suo spazio di pensiero e quindi la dignità di persona adulta.

È solo la famiglia che può dare quei permessi di crescita necessari ad una evoluzione della persona e che le permettono di conquistare gradualmente una identità adulta.

La visione che noi abbiamo di nostro figlio, delle sue capacità e dei suoi limiti, i nostri atteggiamenti educativi, il nostro modo di relazionarci con lui, le parole che usiamo sono tutti elementi che costruiscono la sua personalità che possono farlo evolvere o che possono fortemente limitarlo nelle sue possibilità. 

La comprensione di chi egli è e la fiducia in se stesso gliele diamo noi. 

Occorre cominciare presto, fin da piccoli, nel sostenere questo delicato processo di distanziamento. Occorre sapersi immedesimare nei pensieri e nelle preoccupazioni delle famiglie, senza mai giudicare o pensare a priori di avere la risposta giusta. Il metodo di lavoro è quello dell’alleanza. Costruire e manutenere una buona alleanza educativa con le famiglie, tra operatori e servizi, è uno dei mandati richiesti a chi opera in questo ambiente.

Nostro figlio si costruisce l’immagine di sé riflettendosi nei nostri occhi, nello sguardo che abbiamo verso di lui, nel nostro modo di trattarlo; noi siamo lo specchio in cui vede riflessa la sua immagine. Se io gli rimando un’immagine di incapacità, di infantilismo, di limite esonerandolo dalle regole egli avrà un’immagine di sé riduttiva e sarà molto difficile che riesca a far emergere tutte le sue potenzialità.  Se io continuo a tenerlo costantemente per mano e lo tratto da bambino anche quando è grande, se per proteggerlo non gli permetto di sperimentare la vita vera, con tutte le regole che questa comporta, l’autonomia e la vita indipendente restano un’utopia.

Parliamoci chiaro, non è che vada sempre bene l’immagine riflessa che, come operatori, insegnanti, educatori, professionisti vari, rimandiamo alle persone con disabilità di cui ci occupiamo: quando va bene sono per sempre ragazzi, ma alle volte, troppe volte, fanno “i lavoretti”, prendono “la paghetta”, per non parlare de “il problema della sessualità”. L’autodeterminazione è un diritto scomodo che richiede agli operatori un cambio di posizionamento nel lavoro di cura. Se non lo troviamo e non rendiamo un po’ più normale, come facciamo a chiedere alle famiglie di farlo?

La possibilità di raggiungere una condizione adulta e una vita indipendente è strettamente legata alla capacità dei genitori di modificare nel tempo il loro modo di relazionarsi con il figlio e alla loro capacità di distanziamento per permettergli di diventare grande. Certamente per un genitore è una strada molto difficile e faticosa.

Dare indipendenza a qualunque figlio è difficile, se il figlio ha una disabilità intellettiva la fatica per me genitore è doppia perché lui non ha la forza di sganciarsi da solo. Perciò devo essere io a superare anche per lui l’istinto di continuare a tenerci per mano e mollare gradualmente la mano che tengo stretta, e che lui da solo non sarebbe in grado di mollare, per permettergli di accendere il “suo” pensiero e percorrere la sua strada. Tenerlo sotto le mie ali protettive potrebbe essere più tranquillizzante per me. Conosco i suoi limiti, ma se gli riconosco anche il diritto ad una sua vita indipendente e vissuta in tutti i suoi aspetti, compreso quello affettivo e sessuale, egli potrà riuscire a farlo solo se io genitore riesco a fare un passo indietro, se io ho la forza e la capacità di tagliare quel cordone ombelicale che ci tiene entrambi attaccati, per permettergli di camminare con le sue gambe.

Ci siamo resi conto che nei confronti dei figli noi facciamo spesso un’azione di sostituzione: pensiamo per loro, parliamo al loro posto, decidiamo per loro, organizziamo noi la loro vita, gliela facilitiamo il più possibile. Ma questi atteggiamenti non li aiutano a crescere nel pensiero e a diventare adulti!

I percorsi verso la vita indipendente implicano un processo di svincolo, di distanziamento graduale del genitore nei confronti del figlio, che non significa abbandono, ma significa fargli pian piano capire che il pensiero su di sé deve essere suo e non continuare ad affidarsi al mio e deve anche sentire che io glielo permetto perché lui è altro da me e io gli riconosco questa dignità.

Sono parole che, come operatore, devo far diventare mie, che, come insegnante, devono tracciare una rotta aperta al crescere e al divenire. Se vogliamo favorire il distacco nel lavoro con le famiglie dobbiamo ricominciare ad ascoltare le loro voci e quelle delle persone fragili, imperfette, a cui essere accanto per esigere, come scrisse Giuseppe Pontiggia, il diritto a essere sé stessi.

 

Grazie a Mario e a tutti i partecipanti a questo evento molto sentito che speriamo possa essere alla base di un nuovo inizio per progettare insieme al territorio, alle famiglie e ai servizi nuove forme d’abitare il più possibile vicine alle nostre esigenze, bisogni e  desideri.

 

 

Una vera sfida

Rossella Placuzzi, animatrice del Progetto Calamaio, appassionata d’arte e abile spadaccina, partecipante e vincitrice di numerosi tornei di scherma in carrozzina, ci racconta ora la sua prima esperienza di vita indipendente all’ostello di ComBO, in Bolognina, vissuto insieme agli educatori e ai colleghi con disabilità del gruppo. Una vera sfida, un modo completamente diverso, per lei, di mettersi in gioco nel quotidiano.

IL PRIMA – Rossella, che cosa ti immagini di trovare a ComBO e in quest’esperienza?

Non ho mai provato a fare  un‘ esperienza simile fuori casa e in autonomia perché dormire fuori mi mette in ansia. Sono anche spaventata di non riuscire a fare cose che abitualmente faccio da sola come ad esempio vestirsi e andare  in bagno. 

Visualizzando l’ostello sulla mappa ho notato che e molto vicino a dei parchi che vorrei visitare. 

Da questa esperienza mi aspetto di viverla con più tranquillità e meno ansia perché sarà una bella  cosa da vivere in compagnia di amici e  colleghi. 

Le mie  paure sono: dormire fuori casa , andare in bagno, vestirmi da sola e spero di non incontrare spazi chiusi. 

Durante l’esperienza mi piacerebbe molto girare per il centro,  fare shopping  di vestiti con la mia compagnia e cenare in un ristorante giapponese. 

Giornata ideale: entrare nell’ostello, sistemare i bagagli, visitiamo il centro, quando e ora di mangiare andiamo in un ristorante giapponese. Dopo aver pagato il conto usciamo dal ristorante e facciamo una passeggiata per digerire la cena.

IL DOPO – Come è andata?

L’esperienza di ComBO è stata STUPENDA perché ora sono consapevole delle mie capacita e abilità. Sono andata a ComBO, in autobus con Emanuela Elie Sandra Irene e Ermanno  poi siamo scesi dall’ autobus e abbiamo camminato per un bel po’ ComBO è un ostello situato dietro la stazione dei treni di Bologna  

Per me ComBO è stata un’esperienza molto bella,  non ero da sola ero con i colleghi. 

IO sono riuscita a dare all’ingresso la mia carta di identità, sono riuscita ad aprire la porta dell’ostello poi sono riuscita a stare una notte fuori casa senza genitori. 

Mi sono divertita un sacco la sera perché siamo andati a mangiare una pizza tutti insieme  io ero in stanza con la Manu, la ssandra e Irene e in un’altra c’erano Ermanno e  Elie e poi ci hanno aiutato anche Anna e  Mavi due ragazze esterne al progetto.

E io  sono riuscita  a fare delle cose… come ad esempio sono uscita completamente  dalla mia “ zona di comfort “,  per me e stato un momento di crescita mia personale ed emotiva, pensavo che fosse difficile fare questa cosa invece  non e stato difficile perché io faccio parte del gruppo CALAMAIO  

Per me è stata una riscoperta di me stessa certe situazioni difficili le ho sapute gestire molto bene  

Per la prima volta ero felice per le cose che sono riuscita a fare e ringrazio tantissimo la Sandra e Manu  

Io penso che nelle cose che si fanno ci vuole impegno passione amore …. Nelle cose che si fanno. 

Abbiamo fatto tardi, le ore piccole, però ci siamo divertiti. 

 Un’esperienza importante perché un’ esperienza di autonomia completa . 

Penso che adesso io sia più consapevole di quello che riesco a fare. 

Un ringraziamento speciale al gruppo Calamaio, sono orgogliosa di farne parte.